Posts written by PatriziaTeresa

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    Aggiunto: Scarpe moda autunno-inverno 2016/2017: cosa comprare?
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    Foto: (1) Sneakers inserti in pelle (2) Lacci (3) Sneakers a suola alta (4) Sleep on (5) Colori metallici (6) Glitter (7) Tacchi grossi (8) Inserti in pelliccia

    Le scarpe per l'autunno-inverno 2016/2017 saranno molto variegate e incontreranno i gusti di tutte voi, con la particolarità che si abbineranno alle borse, come da qualche stagione non succedeva. Vediamo insieme quelle più trendy.

    Sneakers
    Le sneakers saranno le regine indiscusse della prossima stagione invernale. Ci sarà una vasta scelta tra i modelli super sportivi e i modelli più fashion con la suola alta. A rendere più preziose le vostre sneakers saranno glitter, inserti in pelle e pailettes, che potrete abbinare a gonne lunghe, gonne al ginocchio, pantaloni palazzo e jeans.
    Per l’autunno inverno 2016/2017 le sneakers saranno principalmente nel modello sleep on, quindi senza i lacci e molto facili da indossare, quasi a voler celebrare una donna energica e sempre di corsa.

    Stivali
    Nonostante la tendenza del momento, in inverno gli stivali saranno sempre di moda. Per l'autunno-inverno 2016/2017 saranno in pelle con nuance metalliche che toccano le tonalità del bronzo, dell’argento scuro e del dorato tendente al marrone.
    Gli stivali saranno stringati, e i lacci li contraddistingueranno nel prossimo inverno. Ok alla vernice, ma i tacchi saranno grossi e mai troppo alti per un’altezza della tomaia che va fin sopra al ginocchio oppure scende verso la caviglia.

    Décolleté
    Buone notizie per le amanti delle décolleté: lacci che le legano alla caviglia e tacchi moderati per décolleté che restano comunque le protagoniste dell’eleganza.

    Pelliccia
    Chiaramente eco, ma pur sempre di pelo, saranno tutti gli inserti che caratterizzeranno le scarpe per l’autunno-inverno 2016/2017. Pon pon di pelliccia o completamente ricoperte, le scarpe si fanno naturalmente calde e di grande stile.
    Tornano, ma solo a piccoli passi, i mocassini, modello che vedremo esplodere nel 2018 trasformato in un ibrido tra sneakers sportive e sleep on glamour.

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    Olbia-Tempio

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    - Fonte -

    La provincia di Olbia-Tempio (pruìncia di Tarranóa-Tèmpiu in gallurese, provìntzia de Terranòa-Tèmpiu in sardo) è una provincia della Sardegna. Affacciata a nord sulle bocche di Bonifacio, uno stretto canale che la separa dalla Corsica, e ad est sul Mar Tirreno, confina:
    • ad ovest con la Provincia di Sassari,
    • a sud con la Provincia di Nuoro.

    Conta complessivamente 26 comuni con una popolazione di 157.859 abitanti (il 9,4% della popolazione sarda) e si estende per 3.397 km² (il 14,1% del territorio sardo).


    Territorio

    Il territorio provinciale comprende la regione storica della Gallura (con eccezione dei comuni di Viddalba ed Erula, rimasti in Provincia di Sassari), inclusa la costa nord-orientale della Sardegna (tra cui la Costa Smeralda), l'Arcipelago della Maddalena. Sono inoltre comprese nella Provincia la parte settentrionale della regione storica del Montacuto, una piccola parte delle Baronie e il versante orientale del Lago del Coghinas.

    Del territorio provinciale fanno parte 9 Sistemi Locali del Lavoro, secondo la classificazione operata dall'ISTAT sulla base dl Censimento dell'anno 2001:
    • Olbia (63.000 ab., include Olbia, Golfo Aranci, Loiri-Porto San Paolo, Padru, Telti, Monti, Su Canale, Berchidda, Oschiri);
    • Tempio Pausania (21.500 ab., include Tempio Pausania, Aggius e Bortigiadas, nonché - nella Provincia di Sassari - Perfugas, Erula, Martis e Laerru);
    • Calangianus (7.300 ab., include Calangianus e Luras);
    • La Maddalena (14.800 ab., include La Maddalena e Palau);
    • Santa Teresa Gallura (5.400 ab., include Santa Teresa Gallura e Aglientu);
    • Arzachena (16.000 ab., include Arzachena, Luogosanto e Sant'Antonio di Gallura);
    • Valledoria (10.800 ab., include Trinità d'Agultu e Vignola e Badesi, nonché - nella Provincia di Sassari - Valledoria, Viddalba e Santa Maria Coghinas);
    • San Teodoro (9.800 ab., include San Teodoro e Budoni, nonché - nella Provincia di Nuoro - Torpè);
    • Buddusò (6.400 ab., include Buddusò e Alà dei Sardi, nonché - nella Provincia di Nuoro - Osidda).

    Nel territorio della provincia sono state inoltre delimitate una Unione di Comuni e una Comunità Montana:
    • Unione dei Comuni "Alta Gallura" (costituita dai comuni di Tempio Pausania, Aggius, Aglientu, Badesi, Bortigiadas, Calangianus, Luras, Luogosanto, Santa Teresa Gallura e Trinità d'Agultu e Vignola)
    • Comunità Montana del "Monte Acuto" (costituita dai comuni di Alà dei Sardi, Berchidda, Buddusò, Monti, Oschiri e Padru). Parte del territorio del Comune di Monti ricade in Gallura (Su Canale).


    Istituzione nuove province sarde

    In seguito alla legge regionale n. 9 del 2001 e successive integrazioni, è stata effettuata una nuova ripartizione del territorio della Regione Autonoma della Sardegna, che ha portato il numero delle province da quattro a otto. Le modifiche hanno assunto piena operatività a partire dal maggio 2005, quando si sono svolte le elezioni per rinnovare tutti i Consigli provinciali.

    La Provincia di Olbia-Tempio è una nuova provincia, costituita da:
    • 24 comuni provenienti dalla Provincia di Sassari,
    • 2 comuni provenienti dalla Provincia di Nuoro.


    Scelta del doppio capoluogo

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    Palazzo della Provincia Olbia-Tempio sede
    di Olbia in via Nanni
    La formalizzazione della scelta dei capoluoghi definitivi, già annunciata per il mese di febbraio 2006 ma più volte rimandata per le divisioni in seno al consiglio provinciale, è stata assunta con Deliberazione Statutaria il 31 agosto 2006. Dalla seduta del 17 febbraio 2006 il Consiglio provinciale si era infatti trasversalmente diviso sul tema della scelta del capoluogo definitivo, con 12 consiglieri favorevoli alla conferma del modello del doppio capoluogo (Olbia e Tempio Pausania) e altri 12 per l'indicazione del capoluogo unico (Olbia). Di fatto la diatriba sul capoluogo ha in parte fino ad ora paralizzato l'attività della neonata provincia, sino alla scelta effettuata nel mese di agosto. Il 31 agosto 2006, a seguito di un accordo, il Consiglio Provinciale ha approvato con 18 voti favorevoli (e quindi con maggioranza qualificata superiore ai 2/3 prevista dalla legge istitutiva) la modifica dello Statuto dell'Ente, che attribuisce la qualifica di capoluogo ai comuni di Olbia (sede legale e principale, sede della Giunta provinciale e delle commissioni, sede condivisa della Presidenza, sede condivisa del Consiglio Provinciale) e di Tempio Pausania (sede condivisa del Consiglio Provinciale e sede condivisa della Presidenza dell'Ente). Gli organi della Provincia, per una loro maggiore funzionalità, efficienza ed economicità, opereranno con i propri organismi consiliari ed articolazioni, presso la sede legale dell'Ente, a Olbia. Il tutto, ferma restando, allo stato attuale, la distribuzione degli uffici già presenti nei due comuni e la ripartizione, eventuale, degli uffici di nuova istituzione.
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    Sede di Tempio Pausania della Provincia
    di Olbia-Tempio nel seicentesco Palazzo
    Pes-Villamarina
    La sede provvisoria degli uffici, in attesa della formalizzazione della scelta del capoluogo o dei capoluoghi da parte del Consiglio Provinciale, era stata istituita a Olbia (nella ex sede della Comunità Montana in via Alessandro Nanni 19) mentre a Tempio Pausania (nell'ex Convento degli Scolopi in piazza del Carmine 4, era stata allestita una sede (la sede definitiva sarà nel palazzo Pes-Villamarina), in attesa che il consiglio provinciale si pronunciasse in merito al capoluogo o ai capoluoghi. La prima riunione del Consiglio Provinciale si era tenuta a La Maddalena mentre le riunioni ordinarie della Giunta e del Consiglio si tengono a Olbia, dove ha sede anche la presidenza; il consiglio provinciale si è riunito il 6 giugno 2006, anche a Tempio, anche se ordinariamente si riunisce nella sede di via Nanni ad Olbia. L'ipotesi del doppio capoluogo prevedeva un modello basato sulla pari visibilità tra Alta e Bassa Gallura, con la suddivisione degli organi provinciali tra Olbia e Tempio Pausania nonché razionale distribuzione dei nuovi uffici e degli assessorati provinciali tra i due centri, ipotesi tramontata con l'insediamento della giunta ad Olbia. Compito dei consiglieri era quello di trovare la soluzione più equa al fine di distribuire i nuovi servizi sul territorio. D'altro canto Olbia, motore economico della Gallura, rivendicava la sede in virtù della sua maggiore dimensione demografica ed economica, al servizio di un maggior numero di cittadini in base al principio che gli uffici vanno dove c'è la popolazione, nonché del risarcimento di tanti servizi, della sede del tribunale e di uffici statali e regionali, per anni storicamente insediati a Tempio, i cui collegamenti stradali e pubblici presentano notevoli problematicità. Il tutto ferme restando le dislocazioni degli uffici statali e regionali già presenti a Olbia (ASL, Agenzia delle Entrate, INPS, INAIL, comandi superiori delle forze dell'ordine, Capitaneria di porto) e Tempio (Tribunale, Casa Circondariale -attualmente inagibile per lavori di adeguamento-, Agenzia delle Entrate e del Territorio, INPS, Servizio Demanio e Patrimonio, ERSAT, Corpo Forestale) sui quali la Provincia non ha alcuna competenza. La sede del Sistema Turistico Locale (STL) "Gallura-Costa Smeralda" dovrebbe essere ad Arzachena (sede provvisoria a Olbia). Secondo la Legge Regionale la decisione richiedeva i 2/3 dei voti dei consiglieri. La deliberazione definitiva della scelta dei capoluoghi e sugli organi e uffici da insediare nelle rispettive città era pertanto stata rimandata a data da definirsi. A seguito di una potenziale crisi della giunta, i rappresentanti della maggioranza sembravano comunque aver trovato un accordo di massima con la scelta di un'opzione che da un lato prevedeva il doppio capoluogo e dall'altro prevedeva che l'"equa distribuzione delle sedi" dei nuovi uffici provinciali, regionali e eventualmente statali tra le due città venisse effettuata tenendo conto della necessità di privilegiare Olbia al fine di riequilibrare la situazione che vede attualmente Tempio favorita nella distribuzione degli uffici regionali e statali. L'accordo trovato dopo lunghe diatribe non risolve comunque totalmente i problemi della neonata provincia (da un lato crea l'inedito artificio delle sedi alternate per gli organi provinciali della Presidenza e del Consiglio e dall'altro in un risveglio a funzionalità/efficienza/economicità provvede alla concentrazione di organi e uffici nella sede di Olbia, senza offrire garanzie sull'insediamento di nuovi uffici operativi e sul ruolo effettivo della città di Tempio, alla quale pur attribuisce la qualifica di capoluogo), anche se si tratta di un primo passo verso il consolidamento dell'Ente. La Provincia di Olbia-Tempio era l'unica tra le quattro di nuova istituzione regionale a non aver ancora provveduto alla formalizzazione dei capoluoghi definitivi (anche le rimanenti tre avevano tutte optato per la formula del doppio capoluogo).

    Ripartizione degli uffici statali e regionali

    Per quanto concerne l'istituzione di uffici statali di rango provinciale, l'INPS (già presente con le agenzie di produzione di Olbia e Tempio) ha annunciato l'intenzione di inaugurare una sede provinciale, anche se tuttora la direzione provinciale resta a Sassari, e il Ministero degli Interni l'istituzione di una Questura a Olbia, mentre sono stati elevati al rango di Reparti Territoriali le compagnie dei Carabinieri e Guardia di Finanza. L'ACI ha aperto ad Olbia uno sportello decentrato del Pubblico Registro Automobilistico (PRA) (anche al fine di consentire la distribuzione della quota di competenza dell'IPT e della percentuale provinciale dovuta sui premi delle assicurazioni RC-auto). Altri organi già con sede a Sassari (Confcommercio, Ordine degli Architetti, Cassa Edile etc.) hanno assunto la doppia denominazione nelle more di una decisione sull'istituzione dei nuovi uffici locali. Con D.P.R. 11 settembre 2008, n. 161 ( pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 248 del 22 ottobre 2008) è stata istituita la Direzione Marittima di Olbia, non si hanno invece notizie per l'eventuale istituzione dell'Ufficio Territoriale del Governo (Prefettura) e della Motorizzazione civile, i quali rientrano nella discrezionalità dello Stato. Il Dipartimento Funzione Pubblica della Presidenza del Consiglio dei ministri e il Ministero dell'Economia, con Circolare Prot. 2006/189860 del dicembre 2006, hanno comunicato di aver definito la sigla di identificazione della Provincia in OT (acronimo di Olbia-Tempio), anche ai fini dell'immatricolazione automobilistica, confermando la sigla provvisoria già precedentemente assunta in diversi documenti e tabelle ufficiali emessi dallo Stato (Ministero degli Interni, Agenzia delle Dogane, CIPE etc.). Questo codice è stato formalmente approvato con DPR n. 89/2008 del 4 aprile 2008 (pubblicato nella Gazzetta Ufficiale del n. 119 del 22 maggio 2008), con cui sono state definite le sigle per le nuove province della Sardegna, mentre la sigla postale OT è stata recepita nell'ambito della revisione generale dei CAP operativa dal 20 settembre 2006, pur mantenendo provvisoriamente invariati i codici postali sia dei capoluoghi che del territorio della nuova provincia. Degli uffici regionali con rango provinciale, il Servizio Demanio e Patrimonio e il Servizio Enti Locali hanno sede a Tempio Pausania, mentre l'Ente Foreste della Sardegna e l'ARGEA (ex ERSAT) oltre alla sede territoriale di Tempio hanno sportelli decentrati a Olbia. La ASL, il distretto n. 7 di Abbanoa (servizio idrico integrato della Sardegna) hanno sede a Olbia. Per quanto riguarda l'AREA (Azienda Regionale Edilizia Abitativa), è presente con un distaccamento ad Olbia, mentre sono stati istituiti gli uffici provinciali del Servizio Tutela del Paesaggio e del Genio civile che, al momento, hanno sede provvisoria a Sassari. Il Centro Servizi Amministrativi (CSA) dell'Ufficio Scolastico Regionale (ex Provveditorato agli Studi) mantiene i propri uffici a Sassari.

    Cultura

    Particolarità di questa provincia è che in Gallura si parla principalmente il gallurese, un dialetto essenzialmente còrso che si avvicina più particolarmente al dialetto oltramontano (suttanacciu) parlato nella parte meridionale della Corsica (Sartene e Alta Rocca). La sua più antica documentazione letteraria risale ai primi decenni del Settecento ed è costituita da componimenti poetici, che fanno pensare alla formazione del dialetto in epoca senz'altro anteriore, causa la progressiva perdita del preesistente logudorese, dal quale deriva ancora oggi circa il 20% del lessico gallurese. Il gallurese è parlato a Tempio Pausania e in generale in quasi tutta la Gallura da Badesi a San Teodoro, fatta eccezione per Olbia, Luras, parte dell'agro di Golfo Aranci, Budoni, mentre a Su Canale viene parlato sia il Gallurese che il Sardo (quest'ultimo in minima parte). In queste ultime località e nel resto della provincia ovvero Berchidda, Monti, Padru, Alà dei Sardi, Buddusò e Oschiri) si parla la lingua sarda nella sua variante logudorese settentrionale.

    Storia

    La base della prima forma di autonomia del territorio è stata costituita nel periodo medioevale dal Giudicato di Gallura con capitale a Civita (oggi Olbia) all'epoca comprendente oltre all'attuale Gallura e parte del Monte Acuto, la Baronie e parte del Nuorese. Con la disgregazione della struttura giudicale e dopo il periodo spagnolo, la Gallura viene frammentata e infeudata a diverse famiglie iberiche. L'origine della Provincia risale al Regio Editto del 4 maggio 1807 con il quale, dopo l'annessione del Regno di Sardegna al Piemonte, l'isola è stata divisa in quindici Prefetture tra cui quella comprendente le regioni storico-geografiche della Gallura e dell'Anglona, con sede a Tempio. Nel 1821 Carlo Alberto riduce il numero delle province a dieci che diventano undici nel 1833 quando viene istituita la "Provincia Gallura" con capoluogo a Tempio, che con Editto del 27 giugno 1837 diviene anche sede di uno dei sette Tribunali di Prefettura dell'isola. Ridenominata "Provincia di Tempio" era estesa 2138 km², comprendendo proprio i territori che ancor oggi vengono definiti come regione storica della Gallura (dal Coghinas a San Teodoro) e - già soggetta alla vice-intendenza di Sassari - viene confermata anche con la riforma operata dopo la "fusione perfetta" della Sardegna al Piemonte, con la Legge n. 807 del 12 agosto 1848 in base alla quale (unitamente alle province di Sassari, Alghero e Ozieri) viene fatta rientrare nella "divisione" di Sassari. Con l'unità d'Italia e la Legge Rattazzi n.3702 del 23 ottobre 1859 la Sardegna viene suddivisa in sole due province (Cagliari e Sassari) declassando le disciolte province allo status di circondario, sede di sottoprefettura e il circondario di Tempio (con una superficie di 1979 km², 5 mandamenti e 9 comuni) viene compreso nella Provincia di Sassari. Nel 1927 sono stati soppressi i Circondari e le sottoprefetture. Nella seconda metà del '900 si sono accentuate le rivendicazioni per l'autonomia di questo territorio dalla provincia di Sassari (la più estesa d'Italia), anche a seguito dell'enorme sviluppo turistico ed economico della costa gallurese e al conseguente maggior ruolo territoriale svolto dalla città Olbia, ma ogni istanza in tal senso si è sempre arenata di fronte alla difficoltà nella scelta del capoluogo tra Olbia (principale centro economico e maggiore città del nord-est della Sardegna) e Tempio Pausania (già sede di numerosi uffici statali e regionali, che è stato il centro più importante, per lunghi anni, della Gallura). Tempio Pausania è rimasta nel corso degli anni sede di Tribunale ed altri uffici pubblici statali e regionali (comitato circoscrizionale di controllo) mentre la ASL ha insediato la sua sede a Olbia. La soluzione è stata risolta alla fine degli anni novanta con la scelta di una soluzione che comportasse la doppia denominazione dell'ente proposto ed eventualmente il doppio capoluogo (Olbia-Tempio)[senza fonte]. Nel 2001 con legge regionale la Regione Autonoma della Sardegna (che ha ampie competenze esclusive in materia amministrativa) ha istituito insieme con tre altre province (Carbonia-Iglesias, Ogliastra e Medio Campidano) la provincia di Olbia-Tempio che è divenuta operativa nel maggio del 2005 staccandosi da quella di Sassari (e per parte minore da quella di Nuoro).

    Stemma e gonfalone della provincia

    Il 20 dicembre 2007 il Consiglio Provinciale ha approvato il nuovo simbolo da inserire nel gonfalone dell'Ente, successivamente modificato il 3 aprile 2008 a seguito delle osservazioni giunte dall'Ufficio Araldica del Consiglio dei ministri. L'emblema proposto è racchiuso in uno scudo francese (o "sannitico") moderno e inquartato (diviso in quattro campi). Nel 1º campo (a sinistra in alto) campeggia il gallo nero, su campo argento. Nel 4º (in basso a destra) su smalto argento si staglia una torre medioevale con tre merli alla guelfa rappresentata di rosso su un dirupo. Il 2º e 3º campo riportano i colori del rosso e del blu, dall'originaria Provincia madre di Sassari. Il filetto orizzontale tra i campi superiori e quelli inferiori è invece costituito da un fascia diminuita ondata d'oro. Lo scudo è sormontato dalla corona con ornamenti esteriori provinciali. Il gonfalone ha il drappo di colore bianco e le parti metalliche in oro. Con tutta evidenza la figura del gallo ricorda l’antico Giudicato di Gallura, la torre è un richiamo stilizzato a molte armi della nuova provincia e all’arme particolare di Olbia, mentre i colori rosso e azzurro riecheggiano gli emblemi dei capoluoghi nonché della Regione Autonoma della Sardegna (d’argento alla croce diminuita di rosso, accantonata da quattro teste di moro attorcigliate del primo). Dal 2005 al 2007 la Provincia ha utilizzato negli atti uno stemma provvisorio che presentava disposti orizzontalmente lo stemma della città di Olbia, quello della Regione Sardegna e quello della città di Tempio Pausania. Tale stemma non era conforme alle norme araldiche ed è stato sostituito dal nuovo simbolo.
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    Nuoro

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    - Fonte -

    Nùoro /'nu.oro/ (Nùgoro in sardo) è un comune italiano di 36.347 abitanti, capoluogo, dal 1927, dell'omonima provincia della Sardegna centro-orientale.

    Geografia fisica

    La città si estende su un altopiano granitico, a circa 550 m s.l.m., ai piedi del Monte Ortobene.

    Clima

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    Vista di Nuoro d'inverno

    Nuoro gode, come quasi tutti i comuni della Sardegna, di un clima mediterraneo temperato dominato da un ricorrente maestrale, con estati moderatamente calde e inverni freschi, solo raramente gelidi. Tuttavia la quota relativamente elevata e la particolare posizione della città favoriscono repentini cali di temperatura in occasione delle ondate fredde dal nord, soprattutto nord/est. Il capoluogo nuorese subisce periodicamente anche il caldo scirocco, che arriva dalla valle di Dorgali e spesso genera piogge molto intense. La temperatura media annua varia tra i 13 e i 15 °C, a seconda delle annate (Media 2004: +13.09 °C / Media 2005: +13.07 °C / Media 2006: +14.30 °C) e dei quartieri, avendo la città una discreta estensione geografica unita ad un notevole dislivello di 275 m tra il punto più alto e quello più basso. Durante l'inverno sono numerose le gelate (20 nel 2004) mentre in estate sono abbastanza rari i giorni con temperature superiori ai 35 °C (neanche uno nel 2004), anche grazie al fatto che la brezza marina spesso riesce a giungere in città mitigando di qualche grado la temperatura. Nel decennio 1996-2006 la temperatura più bassa registrata a Nuoro è stata di -10,5 °C il 31 gennaio 1999, proprio in occasione di un'ondata fredda da N/E, con 40 cm di neve cumulati in circa 15 ore. Dal 2001 in poi invece non si sono superati i 38.1 °C (i dati sono riferiti ad una precisa area della città, quella del Quadrivio). La neve in genere fa la sua comparsa in città tutti gli anni e presenta una media trentennale di circa 20/25 cm annui (20 cm nel 2004). Nel dicembre 2007 c'è stata però una nevicata paragonabile solo a quella "storica" del 1956, con 45 cm di neve in una sola giornata.

    Le origini del nome

    Il nome deriva dal nuorese "Nùgoro"; si è sostenuto dallo Spano (1872) che questa a sua volta provenisse da una non precisata radice nur o ur con significato "casa" o "luce" o "fuoco", quest'ultima intesa come "focolare domestico", stante il radicamento dell'uso fiscale del termine, ma questa interpretazione è stata oggetto di rilevanti contestazioni di altri linguisti. La radice ha comunque secondo la maggior parte degli studiosi origine "prelatina, protosarda, non chiarita". Secondo Areddu (Le origini albanesi della civiltà in Sardegna) la radice *nug- (che ritroviamo in Nug-ulvi) vale 'piede dì (cfr. greco onux, slavo nogà),indi nug-or verosimilmente aveva la significanza di: "ai piedi di or, il quale pare l'indoeuropeo oros (cfr. greco oros 'monte). Anche Nulvi si trova ai piedi di un monte A partire dall'XI secolo si rileva il tipo toponimico nugor. È frequente l'errata pronuncia del nome di questa città. Derivando da tre sillabe (Nù-go-ro), la pronuncia corretta mantiene l'accento iniziale sulla "u", come in Nùoro, e non Nuòro, benché secondo alcuni studiosi quest'ultima potrebbe essere utilizzata come forma meno corretta.La pronuncia con "o" tonica, molto frequente tra gli italiani continentali, è spiegabile con la rarità nella lingua italiana di una sequenza -ùo- rispetto al ben più comune dittongo -uò-. Il nuorese ("Su nugoresu") è a buon diritto considerata la più conservativa tra le lingue neolatine.

    Storia


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    <b>Monte Ortobene - Pala 'e casteddu
    abitazioni preistoriche riutilizzate nel
    Medioevo e, successivamente
    dai pastori
    Nuoro ed il suo circondario furono abitate da diversi millenni prima di Cristo. La ragione principale della frequentazione umana è da ricercarere nella felice posizione geografica della città: Nuoro è infatti situata su una altura al centro di uno snodo orografico che consente di controllare la comunicazione tra la valle del Tirso ed il bacino del Cedrino con le valli che conducono alle attuali baronie di Siniscola, Orosei e Galtellì e verso la Barbagia di Ollolai a sud e di Bitti a nord. La città ha vantato nelle diverse epoche un insediamento umano diffuso in tutto il territorio comunale. Ma per descrivere correttamente la storia nuorese non si può non evidenziare il rapporto con il vicino Monte Ortobene che, sin dalle epoche più remote ha offerto, nelle diverse fasi storiche, rifugio alle popolazioni residenti a valle. Ancora oggi sono numerosi i resti di edifici nuragici, tombe prenuragiche e ripari sotto roccia riutilizzati per millenni (fino al Medioevo ed ai pastori dell'Ottocento). Questa presenza è evidente nella zona di Seuna nella quale si rinvengono tracce di muratura sparse in un'area di diverse decine di ettari ed ai piedi di punta Pala 'e casteddu (spalle al castello). Il legame della città con il "Monte" è pertanto fondante della storia e della cultura dei nuoresi, finendo per creare un sistema città-territorio da cui non si può prescindere.

    Dal Neolitico alla Civiltà Nuragica


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    <b>Nuoro e il Monte Ortobene dal
    Nuraghe Tanca Manna


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    Il nuraghe Tanca Manna

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    Rocciaio sul Monte Ortobene
    Le tracce più antiche della presenza dell'uomo nel territorio nuorese (21 emergenze archeologiche del neolitico ed eneolitico) risalgono alle Domus de janas del IV-III millennio a.C., tra la fine del Neolitico e l'inizio dell'età dei metalli. Vi sono infatti 10 necropoli ipogeiche: Borbore, Janna Ventosa, Valverde, Maria Frunza, Su Cossu, Molimentu, Sa 'e Belloi, Piras, Su Puleu 'e Bortaleo. Nei loro pressi sono state rinvenute asce in pietra e manufatti ceramici o in ossidiana.Numerose abitazioni preistoriche e ripari sotto roccia sono presenti nel Monte Ortobene mentre si segnalano i resti di un villaggio prenuragico del 1.700-1.600 a.C. (appartenente alla cultura di Bonnannaro), posti ai piedi del nuraghe Tanca Manna, svettante su un affioramento roccioso prossimo al quartiere cittadino Su nuraghe. Questo villaggio prenuragico, attualmente oggetto di scavi, è costituito, secondo una stima della Sopraintendenza Provinciale, da circa 200 capanne, alcune delle quali ricadono sotto le vicine abitazioni ed occupa un'estensione totale di oltre 3 ettari. Il villaggio era in grado di ospitare un considerevole numero di abitanti. Alcune delle capanne già oggetto di scavi, sia di pianta circolare che di pianta rettangolare, presentano ancora oggi tracce dell'originario pavimento costituito da un battuto di argilla e sughero per la riduzione dell'umidità nelle abitazioni. Nel versante a est del villaggio Tanca Manna erano presenti alcune Domus de janas, distrutte dalla cavazione del granito avvenuta nel XIX secolo.L'attività antropica recente ha anche cancellato una tomba dei giganti ed un pozzo sacro situato nella vicina via martiri della libertà. Il sito ha restituito fusaiole e pesi da telaio oltre a porzioni di tegami, olle, ciotole, vasi a bollitoio in terra cotta, per lo più inornate o con decorazioni a "pettine impresso" e frammenti di un tripode riferibile alla "Cultura di Bonnanaro". Tali resti lasciano immaginare un'intensa attività domestica, legata alla tessitura ed a quella agropastorale. Presso Sedda Ortai, nel Monte Ortobene, sono presenti tracce di muratura probabilmente di una fortificazione dell'età del Rame. La Civiltà nuragica, a partire dal 1500 a.C. fino alla colonizzazione romana, ha lasciato una forte impronta sulla storia di Nuoro come dimostrato dai numerosissimi nuraghi ancora presenti nella zona (32 nel territorio comunale oltre a 12 villaggi nuragici e 12 tombe dei giganti). Essi coronano quasi tutti i colli della città, risultando spesso assorbiti o inglobati nel tessuto urbano (nuraghi Tanca manna, Ugolio, Biscollai), altri sono collocati nelle immediate periferie (Corte, Tigologoe, Tèrtilo, Tres Nuraghes, Gabutèle), spesso accompagnati da tombe dei giganti o da villaggi nuragici, per lo più ancora da sottoporre ad operazioni di scavo. Di tanti nuraghi rimangono vaghe tracce, come nel caso del colle di Sant'Onofrio, altri sono scomparsi come avvenuto per l'insediamento di Gurtei oramai sotto le abitazioni dell'omonimo quartiere. Si segnalano per la complessità costruttiva sia il nuraghe Nurdole (al confine tra i territori di Nuoro e Orani) che il nuraghe Noddule, nei quali sono presenti rispettivamente una vasca lustrale con incisioni decorative ed un pozzo sacro costituito da trachiti policromatiche. Il ritrovamento di oggetti di fattura non esclusivamente nuragica segnala la presenza di flussi commerciali anche extra insulari (come ad esempio un piccolo leone bronzeo di probabile fattura etrusca o le decine di perle di ambra baltica rinvenuti presso il Nurdole). I romani chiamarono la popolazione della zona Nuoro-Orotelli con il termine "NURR", iscritto in un cippo di confine situato tra i due comuni.

    L'influenza romana


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    Abitazione sotto roccia nell'Ortobene

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    Cippo romano di confine con l'iscrizione
    FIN NURR Sassari, Museo Sanna
    La penetrazione romana fu di grande efficacia in quest'area, come testimoniato dalla parlata del Nuorese, la variante del sardo spesso ritenuta più vicina al latino, anche secondo il celebre linguista Max Leopold Wagner. Roma creò nella "provincia" sarda un sistema viario capillare. Le arterie stradali principali (viae principales) erano quattro, le strade antoniniane, tutte con direzione nord-sud: la litoranea occidentale (a Tibulas-Karales); la interna occidentale (a Turre-Karales); la interna orientale (a Olbia-Karales per Mediterranea); la litoranea orientale (a Tibulas-Karales). Nuoro sorge lungo l'antico percorso principale della per Mediterranea, nello snodo con la via Transversae (la trasversale mediana) che attraversava la Sardegna lungo un asse est-ovest (con quattro stazioni nodali negli incroci con le 4 principales: Cornus-Macopsissa-Nuoro-Dorgali/Orosei). La Trasversale mediana era utilizzata per il trasporto del grano della valle del Tirso verso la costa di Orosei, per l'imbarco del prodotto destinato al porto di Ostia.Sempre a Nuoro terminava anche una strada vicinale Benetutti-Nuoro. Le prime fasi della dominazione romana furono sicuramente concitate e avversate in questa zona che, comprendendo tutta l'area del Gennargentu e del Goceano, essi definivano in età repubblicana delle "Civitates Barbariae" e dei "Barbaricini" in età tardo imperiale e poi nella breve età vandalica. Il ritrovamento soprattutto in Barbagia e nel Marghine di monete puniche con una raffigurazione taurina sembrerebbe indicare una fase storica in cui le "popolazioni sarde (legate al culto del toro) e puniche, si coalizzarono" inizialmente per reagire all'impatto della Repubblica. I romani reagirono sia militarmente che con una lenta e intelligente attività di "sedentarizzazione" dei clan locali, al fine di favorire lo sviluppo agricolo delle terre. Delimitarono dunque grandi latifondi da avviare alla coltivazione del grano che assegnarono a coloni o alle popolazioni locali. I confini erano segnalati da lapidi indicanti la proprietà. Un cippo terminale con la dicitura "FIN NURR", cioè fines nurritanenses, (termine richiamato anche dal nome del vicino nuraghe Nurdole, il cui villaggio ad una decina di chilometri da Nùoro e Orotelli era abitato sino al Medioevo), consente di identificare la localizzazione di quella popolazione che, semi-romanizzata, nel II secolo d.C. costituì un reparto militare imperiale assegnato alla Mauretania Cesariense: la "Cohors I – Nurritanorum". Secondo il linguista Massimo Pittau "molto probabilmente esisteva un cippo terminale analogo, tra Nurdole e Nùoro, nel sito ora chiamato, in maniera del tutto trasparente, Preda Iscritta «pietra scritta», all'inizio della lunga salita di "su Berrinau", che porta a "Badu ‘e Carros" «guado dei carri» di Nùoro". Dagli ultimi studi risulta che in epoca tardo imperiale e alto medievale si svilupparono insediamenti militari e agricoli testimoniati da basamenti murari e manufatti romani rinvenuti ad esempio in località Noddule/Loddune, il località Saderi e in quelle di Ivana e Muru Apertu nella regione di Marreri e alle pendici del Monte Ortobene, mentre nella località di Ugolìo sono presenti tracce delle classiche sepolture romane con copertura in tegole di terracotta. Secondo il Pittau la zona nuorese di Corte (dal lat. cohorte(m) «coorte militare»), sarebbe stata la sede di una guarnigione militare romana fortificata in un castrum. Questa avrebbe mantenuto un collegamento logistico a nord con l'importante borgo romano di Sant'Efis situato nel territorio di Orune, mentre a sud con un castrum a Mamoiada ed uno a Sorabile (Fonni). Tutto ciò testimonia il profondo processo di romanizzazione dei barbaricini accompagnato dall'insediamento di cittadini romani, latifondisti, centurioni, pur nella permanenza del problema del brigantaggio ad opera di singoli clan razziatori che non accettavano la sottomissione all'autorità Imperiale.

    Il Medioevo e l'Età Giudicale


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    I ruderi di "Sa Itria"
    Con la caduta dell'Impero romano d'Occidente la Sardegna passò nel 476, con tutta la provincia d'Africa, sotto il dominio dei Vandali. Il loro regno durò fino al 548 quando, Giustiniano I, Imperatore d'Oriente, riuscì a riconquistare la Sardegna all'Impero Bizantino. Le fonti storiche più importanti su quel periodo sono costituite dalle testimonianze dirette di Procopio e dalle 39 lettere di Papa Gregorio I (590-604). Dalle lettere del Pontefice emerge l'esistenza di due Sardegne diverse: una romanizzata, cristianizzata e bizantina (quella dei Provinciales), ed una interna, costituita da aggregati cantonali, con popolazioni idolatre e pagane, la Gens Barbaricina governata da un capo: "Hospitoni duci Barbaricinorum". Facendo seguito ad una costante e tenace azione diplomatica (testimoniata nelle lettere succitate), nell'estate del 594 si concluse un patto tra Bizantini e Barbaricini e, tra i vari accordi, Ospitone accettò la conversione al Cristianesimo del suo popolo. Per evangelizzare a fondo la Corsica e la Sardegna, Gregorio Magno affidò le due isole ai Benedettini delle isole toscane, che vi rimasero per tutto il Medioevo, anche se la prima e profonda cristianizzazione avvenne ad opera degli ordini monastici greci (studiti, basiliani, ecc.) sotto l'egida bizantina. I Benedettini costruirono piccoli monasteri, detti abbadie e curarono la costruzione delle pievi, delle vie e la tenuta dei fondi agricoli. La presenza bizantina in epoca alto medievale a Nuoro è testimoniata presso il quartiere di San Pietro, in via Brusco Onnis, dal rinvenimento di una tomba multipla bizantina (poliandro), dove all'interno vi erano resti umani, cuspidi di lance e fibbie bronzee (per i cinturoni in cuoio), vestiario ed equipaggiamento bellico tipico di una decarchia bizantina, un corpo militare composto da soldati-coloni con famiglia al seguito, detti Kaballarioi, l'élite militare ed agraria bizantina. Altri resti ascrivibili al periodo bizantino si ritrovano in località Prato Sardo e a Nurdole. Oltre ai resti militari e civili si rinvengono ancora antiche tracce legate al culto. I ruderi della chiesa di Nostra Signora d'Itria, con le adiacenti strutture murarie, sono collocati presso le pendici nord del Monte Ortobene a circa 1 km da Nuoro e risalgono probabilmente a quello stesso periodo. "Itria" è infatti un nome legato al culto di origine greca ed orientale per la Madonna Hodeghetria, di cui Itria è l'abbreviazione. Questo epiteto è formato dalle radici hodos, strada, e hegheisthai, condurre, pertanto ha l'accezione di Madonna del viandante, del pellegrino. In Italia viene ufficialmente denominata Madonna "Ogiditria" o "Maria Santissima di Costantinopoli". Il nome stesso testimonia pertanto una matrice cultuale bizantina che potrebbe risalire ai primi secoli della cristianità d'oriente. Secondo la tradizione l'icona della Madonna d'Ogiditria era un dipinto autentico effettuato da S. Luca, l'Evangelista che ci parla dell'annuncio, della nascita e dell'infanzia di Gesù, con una viva e fulgida presenza di Maria sua Madre. In Italia un'Icona giunse a Bari secondo tradizione nell'VIII secolo nel periodo dell'eresia di Leone III l'Isaurico, l'imperatore d'Oriente dal 717 al 741 che comandò la distruzione delle antiche immagini sacre. L'icona mostra Maria che indica la Via al Cielo che è Cristo. Queste chiese erano vicine agli antichi centri abitati e, spesso, erano collegate a questi da percorsi sacri di espiazione e pellegrinaggio. Il percorso e la strada erano pertanto vissuti come un'allegoria dell'adesione agli insegnamenti di Cristo, la Via, sotto la protezione della Beata Vergine. Buona parte delle numerose presenze cultuali legate a N.S. d'Itria in Sardegna risalgono ai secoli VII-VIII d.C. e spesso hanno segnato un passaggio delle popolazioni locali accompagnate da monaci basiliani o comunque orientali, dall'antica religione pagana al Cristianesimo. Alcuni santuari sono infatti situati, come nel caso di Gavoi, nelle vicinanze di resti archeologici come menhir, nuraghi o luoghi comunque anticamente sacri, come spesso accade per il fenomeno del sincretismo religioso. La chiesetta del Monte Ortobene è stata probabilmente riattata nel XIII-XIV secolo, ma i resti murali attigui potrebbero risalire ad un antico insediamento di monaci basiliani. Sono infatti presenti tracce di terrazzamenti per produzioni orticole di sostentamento e nei dintorni, ancora oggi, nascono spontaneamente i gigli, simboli di purezza, che venivano impiantati per le celebrazioni della festa dedicata alla madonna d'Itria, che si tenevano ancora fino al XIX secolo. Nelle immediate vicinanze del sito vi sono ancora i resti della chiesetta di Santu Thomeu e di Santu Jacu, quasi ad indicare un luogo di interesse religioso. N.S. d'Itria viene ancora venerata in Puglia ed in Sicilia, altre terre dell'allora Impero Bizantino.

    La Curatoria turritana di Nugor

    Con l'affievolirsi del controllo imperiale e l'affermazione della potenza islamica nel Mediterraneo occidentale la Sardegna si ritrovò, per la seconda volta dopo centinaia d'anni, a dover gestire il territorio in autonomia. Nacquero, a partire dal IX secolo, i Giudicati, quattro regni autonomi collegati dalla comune origine amministrativa Bizantina. Di fatto essi spartirono territorialmente la Barbagia sotto la propria autorità, forse per condividere la gestione di un territorio ancora difficile e bellicoso. Durante i "secoli bui" i confini delle curatorie giudicali erano estremamente variabili nel tempo e si modificavano per interventi militari o per le donazioni dei fondi agli ordini monastici o ai singoli donnichellos (signori feudali). Le popolazioni erano prevalentemente asservite alla coltivazione nelle curtis rurali, mentre i pastori usufruivano dei terreni dei demani giudicali (detti rennu). Le più antiche fonti storiche documentali su Nuoro (detta Nugor-Nori-Nuor) risalgono a tre condaghi: quello di Bisarcio, quello di Silki e quello di Trullas; oltre che al Codex diplomaticus Sardiniae. Dal Condaghe di Sant'Antioco di Bisarcio si evince la più antica prova (XI secolo) dell'esistenza della villa di Nugor: il Vescovo Nicodemo fece iscrivere un atto di acquisto di un salto da Dorben Lizor de Nugor. Il Codex diplomaticus Sardiniae, una carta bullata sempre dell'XI secolo, riporta per mano di tale Costantino di Sogostos anche il villaggio di Nugor fra i territori meridionali che confinavano con le vaste terre assegnate alla diocesi di Sant'Antioco di Bisarcio. Ma assai importante è il Condaghe di San Pietro di Silki che, in un documento databile tra il 1198 e il 1207, nella citazione dei testimoni di un atto, richiama oltre al futuro Barisone II de Lacon Serra, donnu Comita Pinna Curatòre de Nugor. Il termine Curatòre attesta l'esistenza di una Curatoria giudicale con capoluogo Nugor, nel distretto sud orientale del Giudicato di Torres, comprendente probabilmente Bitti, Garofai, Nuoro, Orgosolo, dalla qual cosa discende la conferma dell'esistenza di un centro di rilevanti dimensioni ed uno snodo amministrativo giudicale. Anche il condaghe 267 di San Nicola di Trullas (riportato qui a lato) cita un Gosantine de Nugor come mandatore di apposita Corona (cioè come procuratore nominato ad hoc per dirimere la controversia).Alcuni storici, in particolare il Tola, pensarono erroneamente che Nugor coincidesse con Nughedu, borgo vicino a Bisarcio. Tuttavia non conoscevano il Condaghe di San Michele di Salvennor che cita questo villaggio come Nuquetu e Nuguedu e non Nugor. L'unico borgo che poteva chiamarsi Nugor era proprio Nuoro, ancora oggi chiamata Nugoro dai suoi abitanti quando si esprimono nel dialetto locale. La Curatoria di Nugor, estrema propagine a sud est del giudicato di Torres, confinava a ovest con quella di Sarule e quella di Othane (Ottana), citate anch'esse nel Condaghe di San Pietro di Silki e ad est con quella di Orosei-Galtellì del Giudicato di Gallura. A sud vi era la curatoria arborense della Barbagia di Ollolai. Il borgo di Nugor nel secondo decennio del XII secolo venne assegnato alla diocesi di Ottana composta dalle ville di: Macomerio, Virore, Gorore, Molaria, Orticalli, Sabuco, Silanos, Dualque, Nuracucuma, Lexay, Golossene, Otana, Ortilli, Univer, Orane, Suarell, Nuor, Noroloe, Gossilla, Sporlazo, Illortay, Bortiochoro e Su Burgu (solo dal XIV secolo). Il quadro geopolitico locale era complicato dalle donazioni agli ordini monastici e dalle continue ingerenze pisane che avvenivano anche per il tramite dell'arcivescovo del comune toscano, che vantava la Primazia sulla Sardegna. Le intromissioni interessarono soprattutto il vicino Giudicato di Gallura gestito dai pisani alla stregua di un protettorato. Questo Giudicato insisteva probabilmente sulla parte sud orientale del monte Ortobene e sulla parte nord orientale dell'attuale giurisdizione comunale di Nuoro, Lollove inclusa. Ciò lo si deduce dal fatto che mentre Nuoro risultava, come detto, facente parte della diocesi di Ottana, Lollove faceva capo alla diocesi (pisana) di Galtellì.

    Le comunità monastiche

    Secondo alcuni studi nell'X-XI secolo, proprio nella parte sud-orientale del ghiandifero dell'Ortobene, potrebbe essere localizzata la chiesa di Santa Maria di Gultudolfe, oggi scomparsa, facente parte di un antico salto ecclesiale, detto di Girifai. Si trattava di una sorta di piccolo stato cuscinetto, di circa 20.000 Ha, incastonato tra i quattro giudicati sardi: Arborea, Gallura, Torres e Cagliari e avente natura di "franca", fiscalmente autonoma, gestita probabilmente dai monaci greci-basiliani prima e donata da Costantino I de Lacon, Giudice di Gallura, in amministrazione extraterritoriale ai Benedettini dopo il 1060. Le date, le denominazioni e le fasi storiche sono comunque avvolte da grande incertezza a causa della scarsità delle fonti se non per il citato atto di donazione registrato dal giudice gallurese. La vasta area risultava inizialmente assegnata all'Abbazia cistercense continentale "nullius dioeceseos". La Franca era verosimilmente collocata nell'ansa fluviale dei fiumi Cedrino e Sologo, chiusa a occidente dal Monte Ortobene e dal Montesanto (Dorgali) a oriente, con uno sbocco marittimo nella parte centrale del Golfo di Orosei (Cala Gonone – Portu Nonu). I territori del salto sarebbero oggi parzialmente ricompresi negli attuali Comuni di Dorgali, Galtellì, Irgoli, Loculi, Oliena, Orgosolo e Nuoro, con le pertinenze del borgo di Gurtuofe(ne)/Gortovene, sul Monte Ortobene, collegato a valle con i borghi di Locoe e Nothule. Verso la fine del XII secolo si segnala la presenza dei monaci cistercensi e dei Cavalieri ospitalieri. Nel XIII secolo Gortovene avrebbe perso importanza o assunto una differente denominazione: Seuna, o Seuneddu per i locali.

    Nel salto ecclesiale di Girifai vi furono tre fondazioni monastiche:
    • il monastero di San Giovanni Battista "Su Lillu" (Il Giglio) annesso al borgo di Santa Maria Magdalena Thorpeiae ("S'Eremu" in Via Dante a Dorgali);
    • il monastero di San'Angelo e di Santa Maria annesso al Borgo di Gonarium (oggi Rione di Gonare in Via Gonare sempre a Dorgali), detta anche di Corte o Castro dal nome del centro più importante limitrofo a Gonare;
    • il Monastero di Santa Maria di Gultudolfe o Gortofe, presso il borgo di Gortovene – Ortobene.



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    Il "Monte" e Nùoro
    Questo antico monastero oggi è di incerta localizzazione e costituiva una parrocchiale comprendente i territori montani nuoresi oltre a quelli di Nothule (forse Noddule) e Locoe (villaggio abbandonato, ora in territorio di Orgosolo). Essa era dedicata a San Mamiliano Vescovo di Palermo, perseguitato dopo il sacco di Roma nel V secolo dal re dei vandali Genserico. San Mamiliano e quattro discepoli, Santa Ninfa, San Eustazio, San Proculo e San Golbodeo, furono imprigionati in Africa, ma, evasi dalla prigione, fuggirono per mare e si fermarono prima in Sardegna, allora vandala, dove il culto è attestato oltre che a Nuoro a Oliena, Samassi e a Sestu (forse a segnare i passaggi del santo) e, successivamente, si recarono nelle isole dell'arcipelago toscano, dove San Mamiliano morì nel 460 sull'isola di Montegiove da lui ribattezzata Montecristo. Presso il monte Ortobene resta ancora oggi un'eco del nome del santo nella Fonte detta di "Santu Milianu". Il nome di Santu Milianu/Mamiliano è ricorrente nella storia di Nuoro in quanto testimonia il ritorno a valle, in prossimità di una ricca sorgente d'acqua detta Sa Bena, della popolazione che risiedeva nel borgo presso il monte, lungo le rive del ruscello Ribu 'e Séuna. Ciò avvenne forse per le condizioni di maggiore sicurezza e migliore possibilità di sostentamento a valle rispetto a quelle dei secoli precedenti, oppure per la probabile appartenenza del sito originario alla sgradita giurisdizione pisana. Il termine nuorese "Sèuna" è un sostantivo che potrebbe essersi originato dalla parola catalano-provenzale "la Seu", che significa la sede. Santa Maria di Gultudofe poteva comunque essere ubicata presso la Chiesa d'Itria sull'Ortobene che aveva vicino una Chiesa quella di San Giacomo (località Santu Jacu). Nel XV secolo è molto probabile che siano proprio le Chiese chiamate nella documentazione Santa Maria e San Giacomo di Lugula dal nome del torrente Lucula che scorre sotto le località di ubicazione di queste chiese. Non è da trascurare l'ipotesi che San Mamiliano sia stato venerato proprio come uno degli artefici delle prime fasi di cristianizzazione della Sardegna e della Barbagia del V secolo, benché ancora nel VI secolo, come detto poc'anzi, questa terra fosse ancora considerata ampiamente pagana. I tre monasteri del salto ecclesiale tennero probabilmente i contatti marittimo con le altre sedi cistercensi e benedettine insulari quali Bonifacio, le isole toscane, Ponza, il monastero madre di San Giovanni dell'Isola del Giglio e Orbetello servendosi del porto di San Giovanni Portu Nonu (Gonone) e, in tutta probabilità, dei vascelli di proprietà degli ordini ospitalieri. Il salto di Girifai risentì nel tempo della ostile politica della Pisa Ghibellina che mal sopportava traffici direttamente non controllati. Nel 1160 il salto venne infatti in parte smembrato con assegnazioni alla nascente diocesi di Galtellì, sotto l'egida dell'Opera di Santa Maria di Pisa ed, in particolare, dell'arcivescovo del comune toscano.

    La Curatoria arborense di Dore

    Con la caduta del Giudicato di Torres nella seconda metà del XIII secolo, i territori del nuorese andarono al Giudicato di Arborea che ridisegnò l'organizzazione territoriale di queste terre di confine sia per motivi di opportunità che di governo. Risulta che queste terre ex turritane furono assoggettate ad un regime giuridico di pertinenza privata (Peculiares – ultra iudicatum) della famiglia giudicale d'Arborea. Persi i territori di Bitti e Garofai andati al Giudicato di Gallura gestito dalle famiglie pisane dei Visconti, Nuoro, Orgosolo, Ottana, Sarule, Orani e Orotelli confluirono in una nuova curatoria detta "di Dore" (villaggio oggi scomparso che si trovava in posizione equidistante tra i tre ex-capoluoghi turritani di curatoria – Sarule, Ottana, Nuoro – villaggio scelto forse proprio per la posizione baricentrica, per non creare eccessive rivalità e scontri tra i tre centri e forse anche per la vicinanza al Vescovo di Ottana che spesso, per scampare alla malaria, risiedeva nella vicinissima Orotelli).

    San Pietro e Sèuna


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    La quattrocentesca chiesa di S. Croce
    Il villaggio medioevale di Nugor il quale, secondo gli storici nacque dall'attuale quartiere di San Pietro e si uni', come detto, al vicino borgo di "Sèuna" probabilmente a partire dal XIII-XIV secolo. Come detto la nuova Sèuna sorgeva attorno alla chiesa oggi scomparsa di "Santu Milianu" ("Sant'Emiliano") e, secondo la tradizione locale, ebbe impulso dalla discesa a valle degli abitanti dell'antica Sèuna del Monte Ortobene. Come avveniva in tutto il territorio della Sardegna medievale era rilevante la parcellizzazione delle popolazioni locali in una miriade di piccoli centri abitati (spesso poche case di pietra e fango) contigui alla villa. Alcuni villaggi furono abbandonati per la peste, per le guerre o per l'assorbimento da parte della villa principale. Attorno a Nugor si contavano: Lollove (ancora oggi frazione), Noddule/Loddune (Nothule), Nurdole (o Nuroloe), Occana, Gortovene, Gurtei, Toddotana, pranu 'e bidda, Saderi/Sadiri, Ivana, Muruapertu, Bidda 'e Macras, la zona di Seuna-Sedda Orthai; Ancora a inizio ottocento erano vivi i ricordi di questi borghi abbandonati così nel Dizionario Angius Casalis vi è scritto: Vedonsi vestigie nel luogo detto Sedda Ortai, e pajono essere d'un'antica fortezza. Alcuni pastori scavando nelle vicinanze, scoprirono alcuni cannoni di piombo, che furono per acquidotto, e varie altre anticaglie. In Sadìri, in Ivana, in Muruapertu, furono trovate fondamenta e medaglie romane. Più chiare sono siffatte orme alla falda dell'Ortovene, incontro al paese, nel luogo detto Sèuna. È antica tradizione che ivi esistesse una popolazione, e si riferisce al tempo della regina Leonora (Eleonora d'Arborea), al giudizio della quale i vicini Seunesi e di Nuoro sottomisero i loro rispettivi diritti sul ghiandifero di Ortovene. Si sa che la parrocchia di Seuna era dedicata a san Gemiliano. E continuando a considerare le tradizioni, diremo che forse è vero, che i seunesi concorressero poi per ricevervi i sacramenti nella chiesa di s. Leonardo, ora chiesa del Carmelo, la quale resse poi gli onori di chiesa maggiore alla vecchia cattedrale presso una selva di lecci e la fontana detta di Logudore; e potrebbesi da questo inferire, che i seunesi e nuoresi erano due frazioni d'un sol popolo, e i primi si confondessero poi coi secondi. Un altro popolo pare sia stato all'estremità de' salti di Nuoro con quelli di Orune, forse chiamata col nome che ritiene ancora il sito di Loddune. In monte Burtei (Gurtei) a mezzo miglio di distanza dalla popolazione sono vedute fondamenta, e fu dissotterrata una campana. Una campana pure si trovò in Toddotana a circa 2 miglia e mezzo, palle di ferro, e varie altre cose. Finalmente in Baddimanna nel sito detto Planu de bidda fu già un popolo. Nel XIV secolo l'importanza di "Nugor" ricrebbe insieme ai suoi abitanti, più di mille e, fra il 1341 e il 1342, viene indicato nei documenti contabili come uno dei villaggi che versavano maggiori tasse alla Diocesi di Ottana. Anche il Liber Fondachi (registro fiscale pisano) cita spesso negli atti persone originarie della villa di "Nuori". Nel 1322 Ugone II d'Arborea e Giacomo II d'Aragona stipularono un accordo che, confermando i diritti regali giudicali sull'Arborea, affermava i diritti del sovrano arborense anche sulle terre di Dore ma con una investitura extragiudicale, cioè come faudatario del re d'Aragona. Più precisamente nel 1339 il re di Sardegna e Corsica creò la Contea del Goceano, includendovi oltre al Goceano la curatoria Dore con le ville di Nuoro, Oniferi, Orani, Orgosolo, Orotelli, Ottana, Sarule, infeudandola al giovane donnikellu arborense che poi divenne Mariano IV d'Arborea, padre di Eleonora. Verso la metà del trecento le Rationes Decimarum del vaticano indicano che Nuoro vantava il titolo di Pievania, era pertanto un centro di importanti interessi clericali. Seguì un periodo di guerra tra Arborea e Aragona fino al 1388 quando Nuoro figura tra le 8 ville della Curatoria Dore che firmano il trattato di pace fra sardi e catalani. Per la Villa di Nuor firmano il Majore Arzoco Carta e i Jurados: Gunnario Asole, Mariano Chinnache, Raimondo De Serra, Nicola Tola, Barisone Matola[24]. Nel 1414, dopo la vittoria degli aragonesi, la Contea del Goceano venne consegnata al conte Leonardo Cubello.

    Il periodo aragonese e spagnolo


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    Casa di San Pietro
    Dal quattrocento il borgo restò relativamente isolato e non rilevò per i conquistatori se non per la pesante imposizione fiscale. Fra le popolazioni era radicato un sentimento antiaragonese tant'è che, sia il goceano che il nuorese, vengono segnalati nel 1421 come zone ribelli al sovrano aragonese e fedeli al Cubello. Nel 1429 diviene Vescovo di Ottana Simone Manca, monaco vallombrosano nato a Nuoro nel 1370. È probabile che alcune chiese nuoresi risalgano nella loro fondazione proprio all'impulso dell'alto prelato. Nel XV secolo si assistette alla restaurazione del sistema feudale, superato di fatto dal Trecento. Questo sistema durerà fino al 1839, anno in cui il governo sabaudo riscattò i feudi. Nel 1481 la contea del Goceano venne assegnata al demanio reale e gli Acta curiarum regni Sardiniae del 1485 riportano che i territori della curatoria di Dore, benché fossero un settimo dei possedimenti reali in Sardegna, contavano un terzo dei fuochi fiscali.Lo spostamento della Sardegna verso l'asse spagnolo comportò alcuni importanti riflessi amministrativi e religiosi. Nel 1503 venne soppressa la Diocesi di Ottana e, assieme alle antiche Diocesi di Bisarcio e di Castro, vennero ricomprese nella nuova Diocesi della catalana Alghero. Ciò avvenne perché il Re Ferdinando il Cattolico intendeva controllare tutte le nomine dei vescovi, fidelizzandoli con rendite di grande importanza. Nel 1557 don Baldassarre Ladron avviò un contenzioso con la vedova di don Juan Cascant Maça. La Reale Udienza attribuì ai Portugal le encontrade di Orani, Nuoro, Bitti e Gallura. Ai Ladron andarono le barbagie di Seulo, Ollolai e la curatoria del Siurgus.

    L'Encontrada de Nuero nel Seicento feudale


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    La "casa delle contrafforti" nel
    quartiere di San Pietro


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    La seicentesca Chiesa di N.S.
    delle Grazie
    Nel 1616 si segnalava la seguente situazione "feudale": l'Encontrada de Nuero con Nuoro-Orgosolo-Locoe-Lollove faceva parte del grande e ricco Marchesato di Orani comprendente anche le encontrade di Orani, Bitti e Gallura. Il Marchesato era feudo di Anna Portugal e Fernandez de Silva e confinava col feudo Barbagia di Ollolai costituito dai territori di Fonni-Gavoi-Mamojada-Ollolai-Ovodda-Lodine, col Marchesato del Marghine, con la Curatoria di Dure (da non confondere con Dore) e con i centri della Baronia di Orosei-Galtellì (Orosei-Galtellì-Dorgali-Lula-Onifai-Irgoli-Loculi) e con quella di Posada o Mont'Albo (Posada-Thiniscola-Torpè). Oliena era invece nella Baronia d'Ogliastra. La villa crebbe e nei registri spagnoli, in particolare negli atti del Viceré Gerolamo Piementel, si riporta che "La Encontrada de Nuero tiene 4 villas Y la primera Villa de Nuero 1434 Fuegos, Villa de Orgosolo 1162 fuegos, Villa de Loloy 83 fuegos, Villa de Locoy 54 fuegos". Talvolta alcuni feudatari delle Baronie risiedettero per alcuni periodi nel paese di Nuoro, essendovi un clima più salubre e meno influenzato dalla malaria. Nel 1627 il borgo, secondo il censimento, contava già 2300 abitanti. In un testo del 1639 Francesco Angelo de Vico, Giurista e storico sardo reggente del supremo consiglio d'Aragona, probabile autore della Historia General de la Isla y Reyno de Cerdeña, scriveva che "Nuero", per il suo cielo e per la sua terra e per altre qualità era segnalata fra tutte le ville di quel regno perché era molto grande e molto popolosa ed i suoi abitanti erano molto notabili, ricchi, di grande abilità e ingegno. Nei documenti storici del Vescovado di Alghero, in cui era confluita la diocesi di Ottana, nel 600 sono registrate in città 15 chiese urbane, 7 chiese periferiche e 9 chiese campestri. La dominazione aragonese prima e spagnola successivamente hanno contribuito in modo determinante all'elaborazione delle tradizioni religiose e culturali, alla definizione di alcuni manufatti artigianali e delle ricche vesti d'uso quotidiano, oggi considerate "costumi" che si indossano in occasione delle sagre di folklore. Nel 1671 vi è la prima traccia di un Sindaco: Mauro Quirigo Corda. Nel 1684 negli atti della Segreteria di Stato si cita don Antonio Angelo Nieddu Guiso.Nell'ultimo decennio del Seicento Nuoro vide i natali di tre illustri membri delle casate spagnole: donna Caterina di Sotomayor, artista che morirà a Madrid; Felice e Giacomo Masones, grandi diplomatici reali della corte di Spagna. La loro famiglia deteneva la Contea del Montalbo ma amministrava il feudo dalla propria residenza nuorese, dal clima più salubre di quello, malarico, della Baronia.

    Gli antichi rioni di Nuoro erano allora quelli noti ancora oggi come storici:
    • San Pietro;
    • Su Serbadore;
    • Santa Ruche;
    • Santu Caralu;
    • S'Ispina Santa;
    • Corte in susu;
    • Seuna;
    • Sa corte de sos sette fochiles (grande cortile sul quale si affacciavano sette focolari, sette case);
    • Su puthicheddu (pozzo oggi essiccato);
    • Fossu Loroddu (letteralmente “fosso sporco” dove si era soliti buttare l'immondizia);
    • Santu Milianu;
    • San Nicolò (zona intorno all'antica chiesetta di San Nicolò, andata poi in rovina);
    • Sa Bena (fonte pubblica e abbeveratoio per il bestiame posto nell'attuale incrocio tra via Gramsci e via Manzoni);


    [color=red]I capitoli della villa di Nuoro nel parlamento sardo

    Alla fine del XVII secolo a seguito di pestilenze e carestie si registra un crollo demografico. Dagli Acta Curiarum Regni Sardiniae, gli atti del Parlamento del viceré Giuseppe De Solìs Valderràbano conte di Montellano del 1698, si registrano 936 Hombres y 1168 Mujeres ma Nuoro diventa il primo centro abitato delle zone vicine (Barbaja Ololay, Marquesado de Orani, Encontrada de Nuero) e versa al Regno di Spagna la maggiore quantità di tasse con 924,08 Libras. Si apprende, inoltre, che l'allora Sindico di Nuoro, Mauro Quirigo Corda, il publicus notarius Petrus Nieddu Guiso e i vassalli della villa, si rivolsero al re per un contrasto con il Capitolo della diocesi di Alghero, la quale intendeva far revocare il titolo di Plebania, detenuto da oltre 100 anni dal centro barbaricino, al fine di incamerare i redditi della pievana al Capitolo della diocesi catalana, attendiendo solo a su combenençia. Già nel 1614 Don Antonio Satta riuscì a vincere una causa contro il primo tentativo del Capitolo di Alghero, che portò ad un risarcimento di 14.000 lire. Un secondo tentativo di aggregazione venne sventato nel 1671 dai maggiorenti nuoresi che si rivolsero direttamente alla Curia romana, che giudicò il tentativo "nullo" e "simoniaco". Il Sindaco supplicò pertanto il sovrano Carlo II di Spagna affinché intercedesse con il Santo Padre per la trasformazione della parrocchia in abbazia, con l'obbligo per gli abbati di risiedere nella villa, con le prerogative e i privilegi legati a tale onore per il paese. Chiese inoltre lo scorporo dalla diocesi di Alghero e l'unione con la ex diocesi di Galtellì, in considerazione del fatto che Nuoro era contigua alle ville in passato ricadenti sotto quest'ultima diocesi (Posada, Orosei, Orgosolo, Oliena, Dorgali, Bitti, Galtellì) ed erano territori accomunati da simili interessi economici e commerciali legati ai frequenti contatti con il Capitolo di Cagliari piuttosto che con quello di Alghero.Segnalò infine, per rafforzare tale richiesta, le vessazioni doppie imposte ingiustamente dal Capitolo algherese con il pretesto del real donativo, del sussidio alle galere, del seminario (che peraltro non ammetteva, con varie scuse, seminaristi nuoresi), facendo abuso e grave torto ad una villa che vantava muchos hombres de señaladas prendas con importanti trascorsi al servizio del re.Tra i cittadini nuoresi vennero ricordati infatti: i fratelli Pirella, don Pedro Paolo e don Juan Angel, già alla guida delle truppe di cavalleria e fanteria del distretto in occasione di un tentativo di invasione francese; don Antonio Mulas Pirella, auditor general nell'esercito di Lombardia; don Antonio Manca Penducho... regidor del Marquesado de Orany con grande confianças del viceré De Solìs e suo figlio don Salvador Angel Manca; Diego Contena Pirella, ... capitan de campaña... y otros muchos de esta calidad. La supplica venne rafforzata dal ricordo di ciò che avvenne per le ville di Ottana, Bisarcio, Castro, Santa Giusta, Terralba e Galtellì, già sedi vescovili poi ridotte a tristi borgate a seguito dell'aggregazione al Capitolo di Alghero, con grave nocumento per le entrate reali.

    Il Regno di Sardegna dalla Spagna ai Savoia

    La guerra di successione spagnola coinvolse tutte le potenze europee. Con la pace di Utrecht il Regno di Sardegna sembrava destinato a entrare nell'impero asburgico. Nel 1717, tuttavia, un corpo di spedizione spagnolo inviato dal cardinal Alberoni, occupò di nuovo l'Isola, cacciandone i funzionari asburgici. Tra il 1718 e il 1720 il Regno di Sardegna verrà definitivamente ceduto alla Casa dei Savoia, che acquisì così il titolo monarchico.Più estesa e popolata dei paesi del circondario, Nuoro consolidò un ruolo di riferimento per il territorio circostante. Nel 1777 il canonico Francesco Maria Corongiu scrive che Nuoro era "provvista di belle e ampie strade, deliziosa nella sua campagna ed abbondante altresì d´ogni genere di viveri, di buone carni, pane, circostanze tutte che rendono più grato il soggiorno". Nel 1779 il vescovo di origini spagnole Roig fece ricostituire a Nuoro la sede dell'antico vescovado di Galtellì, ottenendo apposito decreto da Papa Pio VI. Nella bolla pontificia si legge che "... Nuoro conta 589 famiglie e 2782 abitanti, vi sono 5 case di cavalieri e oltre 30 di gente civile e benestante, qualche laureato e otto notai..." La diocesi assunse il nome Galtellinensis-Nuorensis. Nuoro divenne sede del Tribunale di Prefettura (1807), città nel 1836, e sede di Divisione Amministrativa e di Intendenza nel 1848 (in pratica una terza provincia sarda, dopo Cagliari e Sassari); poi l'ultimo titolo fu ridotto nel 1859 a quello di sottoprefettura. Si sviluppò perciò come centro amministrativo a partire dalla seconda metà dell'Ottocento, periodo in cui si aprì ad un rilevante insediamento di funzionari piemontesi del Regno di Sardegna e commercianti continentali. Così avrebbe in seguito descritto questo passaggio storico il Satta: "In breve, i nuoresi si trovarono amministrati, rappresentati dagli estranei, e in fondo non se ne dolsero. Era un fastidio in meno".

    Rivolta "de su Connottu"

    L'adozione della riforma agraria denominata Editto delle Chiudende del 6 ottobre 1820, provocò nell'intera Barbagia dei forti dissensi e disordini a causa dell'appropriazione selvaggia di terreni, sino ad allora adibiti ad uso comunitario (e giuridicamente anche ad uso civico). Ci furono rivolte sanguinose, faide e numerosi omicidi in una sempre più grave serie di tragedie, tali da sconsigliare il Valery, che nel 1834 stava realizzando il suo "Voyage en Sardaigne", dall'approssimarsi a Nuoro, solo lambita nel suo articolatissimo itinerario. Tuttavia il culmine del malcontento si raggiunse dopo che nel 1858 furono alienati anche i terreni demaniali, che sarebbe sfociato poi nei noti moti de su Connottu, quando al culmine della tensione il 26 aprile 1868 diverse centinaia di persone assaltarono il palazzo del municipio e diedero alle fiamme gli atti di compravendita dei terreni del demanio. Il banditismo, che dopo Su Connottu si pretese almeno in parte corroborato da sentimenti di ribellione al nuovo regime dei suoli, ebbe una recrudescenza e lo stato rispose con l'invio di truppe di polizia, numerose quanto poco efficaci nel contrastare grassazioni e faide. Sul finire dell'Ottocento si fece più grave l'usura, i cui maggiori gestori erano dei "miserabili napoletani"ed anche la Deledda ebbe a citarla in una delle sue opere. Una singolare e copiosa aneddotica del periodo si ricava da un romanzo scritto da un carabiniere continentale, paracadutato dalla Firenze-bene alle scabre montagne del circondario della città, del quale vale riportare un brano:

    « Nuoro: un brulichìo nerastro di villaggio steso fra le stoppie giallicce, in uno scenario fantastico di monti, dei pastori vestiti di pelli, delle vie di granito battute dal vento, delle campane martellanti un eterno tintinnìo di tarantella, la capitale del brigantaggio ci appare come un grosso e squallido borgo, dove il vescovo mitrato, il sottoprefetto e il comandante del presidio fanno l'effetto di una commenda sulla casacca di un villano. »
    (Miles (Giulio Bechi), "Caccia grossa", 1900?)

    Il romanzo riporta incidentalmente ma con buona fedeltà il nuovo ruolo di Nuoro sede del tribunale penale, cui si traducevano gli imputati di un vastissimo mandamento, comprendente moltissimi paesi ad altissimo tasso di criminalità. Il secolo si chiuse con una rilevante partecipazione dei nuoresi all'emigrazione verso il continente americano e le miniere del Nord-Europa; fra le cause non vi era solo la povertà ma spesso anche il desiderio di sottrarre le famiglie all'implacabilità della vendetta od a diverse rischiosità sempre di versante criminoso. Sul finire del secolo gli abitanti erano circa 7.000.

    Il Novecento

    Con il Novecento il fermento culturale che avrebbe dato vita alla importante avanguardia artistica sarda si giovò del notevole miglioramento dei trasporti per la comunicazione col Continente, ed anzi prese proprio questa a suo obiettivo; pian piano, si fecero conoscere oltremare le opere della Deledda, dei pittori, dei poeti.Celebri per il notevole pregio le sculture di Francesco Ciusa. Nuoro divenne un centro culturale di grande rilievo. Con l'allargamento dei servizi e dei posti di lavoro amministrativi, iniziarono a trasferirsi a Nuoro molti abitanti dei paesi vicinanti e fra questi alcuni artisti.

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    Un vicolo del centro

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    Uno scorcio da P.zza S. Giovanni
    Passate la guerra italo-turca e la prima guerra mondiale con un elevato numero di caduti, si ebbero in città i primi sviluppi delle sinistre. Uno dei principali attivisti fu l'avvocato Salvatore Sini (noto "Badore"), originario di Sarule, più conosciuto come autore dei testi di "Non potho reposare", canzone in lingua sarda di grande successo nell'isola, ma in realtà impegnato in molte campagne fra le quali una per la fondazione di una lega fra le donne operaie. Nel 1921 fu visitata da David Herbert Lawrence, il quale voleva conoscere i luoghi dove erano ambientati i romanzi della Deledda di cui egli stesso nel 1928 scriverà la prefazione della versione inglese della Madre. Lawrence rimase a Nuoro per una sola notte, e di questa fugacissima tappa, restano alcune interessanti pagine di "Mare e Sardegna" nelle quali descrisse una animatissima sagra in costume. Nel 1926 fu conferito il premio Nobel alla cittadina Grazia Deledda. Avendo già assunto almeno moralmente questo ruolo, ed essendola in pratica già stata nel secolo precedente, Nuoro ridivenne provincia durante il Fascismo, nel 1927. I rapporti del regime con la popolazione passarono attraverso la mediazione di alcuni artisti, i quali imposero il rispetto della cultura locale, nonostante le politiche nazionaliste fasciste. L'uso degli indumenti della tradizione fu tollerato e si giunse anzi ad avere diversi nuoresi in abiti sardi per le cerimonie del matrimonio di Umberto II. Notevole fu, tra gli artisti di punta, Remo Branca, preside del liceo ginnasio (succeduto al padre di Indro Montanelli, che in questa città trascorse l'infanzia) ed infaticabile animatore culturale. Nel 1931 raggiunse i 9.300 abitanti. La città contava oltre ai quartieri originari, Santu Predu, dei pastori e dei proprietari terrieri e Seuna, dei contadini, dei braccianti e degli artigiani, con la "via Majore" (attuale Corso Garibaldi, tuttora la via "di passeggio"), dei signori, altri dieci rioni: S'Ispina Santa (via Sassari), Irillai (via della Pietà), Santu Carulu (via Alberto Mario), Su Serbadore (via Malta), Corte 'e susu (via Poerio), Santa Ruche (via Farina), Sette Fochiles (via Lamarmora), Fossu Loroddu (Largo Nino di Gallura), Su Carmine (Piazza Marghinotti), Lolloveddu (via Guerrazzi). Vi è poi Lollove, frazione che dista circa 15 chilometri dal capoluogo, piccolo centro rurale che mantiene un aspetto quasi incontaminato rispetto alle origini, nota nell'immaginario collettivo locale come una locazione vicina ed al contempo distante. La sua provincia è attualmente una delle meno popolose d'Europa, e raccoglie numerose bellezze paesaggistiche e naturali di grande rilievo, tra cui il Gennargentu ed il Golfo di Orosei, con un interesse particolare per le bellezze naturali che vengono offerte nel tratto di Sardegna, in particolar modo verso la costa tra Cala Gonone, nel Comune di Dorgali e l'Ogliastra.

    Monumenti e luoghi d'interesse


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    Cattedrale di Santa Maria della Neve
    • La cattedrale di Santa Maria della Neve - La Cattedrale di Santa Maria della Neve è un monumento del XIX secolo, in stile neoclassico. Eretta per volontà del vescovo Giovanni Maria Bua, nella prima metà del XIX secolo. Il progetto venne affidato all'architetto Antonio Cano. La posa della prima pietra risale al 12 novembre 1835. I lavori, che furono rallentati a causa della morte accidentale durante l'esecuzione dei lavori, dell'architetto Antonio Cano nel 1840, terminarono con la consacrazione del 29 giugno 1853. Oltre l'altare maggiore dedicato a S. Maria della Neve furono affrescati nel soffitto ed eretti nella navata sinistra gli altari: Vergine del Carmelo, Madonna della Salute, Sacro Cuore; nella navata destra gli altari: San Salvatore da Horta, Santa Lucia, Madonna di Lourdes.All'interno è presente un'importante tela rappresentante la deposizione di Cristo dipinta da Alessandro Tiarini. Questa nuova cattedrale prese il posto dell'antica Pieve di Santa Maria ad Nives citata nel XV secolo anche nel codice di San Pietro di Sorres nella scheda 215 come sancta Marja de Nuor. Secondo l'Alberti essa doveva essere costruita nella maniera catalana. Durante il periodo di costruzione della nuova cattedrale, la Diocesi di Nuoro utilizzò come cattedrale la chiesa de "Sa Purissima". Una antica chiesa oramai perduta che era situata nel Corso Garibaldi, allora chiamata Via Majore, dove un tempo sorgeva il municipio di Nuoro ed ora vi è la sede di un istituto di credito.
    • L'antico santuario della Madonna delle Grazie - Il 22 ottobre 1679 il Vescovo di Alghero Francesco Lopez de Urraca concedeva a Nicolau Ruju Manca la "permissione di poter fabbricare una chiesa in onore della Vergine delle Grazie di Nuoro". Comincia con quest'atto ufficiale la storia della chiesa delle Grazie, edificio che è da considerarsi tra i più rilevanti della città di Nuoro. La chiesa si trova nell'antico quartiere di Seuna. È stata di recente restaurata. Realizzata alla fine del seicento in una foggia semplice, lineare, quasi rustica. La facciata presenta un portale centrale, con due semicolonne sulle quali poggia un doppio architrave modanato sormontato da un timpano triangolare in trachite. Gli stipiti ed i capitelli delle colonne sono decorati con figure zoomorfe e floreali che rimandano al linguaggio decorativo gotico-catalano. Al di sopra di esso, come unico elemento decorativo della facciata troviamo un più antico rosone in trachite di foggia gotico-catalana, incastonato nella facciata, che si dice provenisse dalla più antica chiesa di "Santu Milianu" (attribuita erroneamente dal clero spagnolo a San Giuliano era in realtà San Mamiliano) andata oramai in rovina. Al portale si accede tramite una scalinata in granito. Un secondo ingresso si apre nella fiancata laterale sinistra della Chiesa, il quale si presenta con stipiti in trachite rossa e sovrastato da una nicchia, con logiche decorative tardo barocche. Sulla fiancata destra poi, il terzo ingresso al tempio, di nuovo con stipiti in trachite rossa, conduceva un tempo ad uno spazio esterno ampio e circondato da colonne, che fungeva da ostello per i pellegrini durante la festa della Patrona di Nuoro. Questo genere di ostelli, noto come "Cumbessias", sono tipici della Sardegna ed i più antichi risalgono al periodo della dominazione bizantina. Sulle fiancate vi sono infine loggette che interrompono, alleggerendolo, il volume massiccio della costruzione. L'edificio sacro ha pianta rettangolare e presenta un presbiterio quadrato. Il soffitto è costituito da una volta a botte. L'altare maggiore è sopraelevato di un metro e mezzo rispetto alla navata. Pregevoli dipinti, raffiguranti i 12 Apostoli, i Profeti, alcuni brani delle Sacre Scritture ed episodi dell'edificazione della Chiesa, sono conservati nel Santuario. Risalgono al XVIII secolo: sono stati realizzati su intonaco, poi imbiancato a calce fresca, con terre colorate, secondo una tecnica sarda molto peculiare anche nell'effetto. Nel 1720 l'area ecclesiale ospitò una residenza dei Gesuiti. Sotto il pavimento venne ritrovata la sepoltura di una persona di sesso maschile, probabilmente il costruttore della chiesa Nicolau Ruju Manca.

    Le altre antiche "cresias"


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    Chiesa della Solitudine
    che ospita le spoglie
    di Grazia Deledda


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    Tomba di Grazia Deledda

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    Dedica alla Vergine nella
    chiesa del Monte Nero
    • Chiesa di Santa Croce (Santa Ruche) - chiesa del XV-XVI secolo, antica sede di una confraternita, prossima alla piazza Su Connottu nel quartiere di San Pietro. All'interno una piccola cupola, archi in trachite a sesto acuto, un Cristo di scuola fiorentina del Quattrocento, ed un Cristo in croce di fattura spagnola di probabile datazione cinquecentesca.
    • Chiesa del Salvatore (Su Serbadore) - edificata prima del XV secolo ha subito numerosi restauri che ne hanno stravolto gli esterni. Furono inoltre abbattute nel novecento le cumbessias che servivano come appoggio per i pellegrini della festa de Su Serbadore.
    • Cappella di San Giuseppe - facente parte del convento francescano dei Minori Osservanti (ordine soppresso nel 1866), intitolato a San Paolo e risalente al 1593 a seguito della donazione del Barone di Orosei don Gabriele Manca per una promessa al visitatore generale dell'ordine, P. Luigi de la Cruz. Il convento sorse in un'area periferica del borgo, vicino alla più antica chiesa di San Paolo fatta edificare nel 1572 dal Pievano di Nuoro don bartolomeo Manca. Il Convento divenne un centro culturale essendo accompagnato da una scuola che istruì alcuni giovani nuoresi nella retorica, filosofia e teologia.
    • Chiesa di San Carlo (Santu Caralu) - La semplice chiesetta, un oratorio in realtà, era frequentata dallo scultore Francesco Ciusa, la cui casa natale si trova proprio di fronte. All'interno del tempio si trova la tomba dell'artista, sopra la quale è collocata una delle copie della famosa scultura La madre dell'ucciso, opera con la quale Ciusa vinse la Biennale di Venezia nel 1907.
    • Chiesa della Madonna della Solitudine (sa Solidae) - La chiesetta, cara al premio Nobel Grazia Deledda, che la cita nelle sue opere, si trova sulla strada che conduce al Monte Ortobene, immersa nel verde. Di origine seicentesca, è stata demolita e ricostruita negli anni Cinquanta; ospita la tomba della Deledda.
    • Chiesa di Santa Maria di Valverde (N.S. de Balubirde)
    • Chiesa della Madonna del Monte Nero (Virgin 'e monte) - Come si legge su una lapide esposta sopra l'ingresso, fu costruita in soli 30 giorni e dedicata alla Madonna del Monte Nero dai Fratelli Pirella (Melchiorre, insegnante e canonico a Cagliari, successivamente vescovo di Bosa e Ales; Giovanni Angelo e Pietro Paolo, sacerdoti, tutti e tre nativi di Nuoro) il 26 aprile 1608; narra la leggenda (riportata anche nel romanzo "Cosima" di Grazia Deledda) che uno dei fratelli, di ritorno dal santuario della Madonna del Monte Nero vicino a Livorno, si trovò in mezzo ad una tempesta, e promise di costruire una chiesa sulla prima cima dell'isola che avesse visto se si fosse salvato. È situata nel parco del Monte Ortobene a circa 900 metri d'altitudine. Oggetto di un grave atto di vandalismo nel 2002, è ancora in attesa del completamento dei lavori di restauro.
    • Chiesa di San Leonardo (Santu Lenardu) - Nostra Signora del Carmelo, in via Massimo d'Azeglio.


    Chiese scomparse o diroccate
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    Monastero delle Carmelitane
    Scalze e chiesa di Salvatoris
    Mater, opera di Savin Couëlle
    • San Mamiliano (Santu Milianu) - Viene citata come chiesa di San Julian e Sant'Emiliano – chiesa diroccata già nel XVII secolo.
    • San Nicola - In via San Nicola sorgeva una chiesetta il cui altare è stato trasferito nel XVII secolo presso N.S. delle Grazie.
    • Santa Maria Maddalena (Sa Piedade) - era in via della pietà.
    • San Pietro e Lucas (Santu Pedru) - sorgeva in via chironi di fronte alla nuova chiesa del Rosario.
    • San Lucifero (San Luziferu) - In via Roma, angolo via Marconi. La facciata in mattoni è stata rinvenuta sotto l'intonaco della casa in via Marconi.
    • San Giovanni (Santu Jubanne) - era presso piazza San Giovanni.
    • Sa Purissima (de la Purissima Conception) - fu una delle antiche cattedrali di Nuoro, edificata presso Corso Garibaldi (Bia Majore). nel XIX secolo al suo posto fu edificato il Municipio, poi sostituito dalla sede del Banco di Sardegna.
    • Sant'Elena (Santa Elene) - presso via Mons. Bua (Bar Cambosu)
    • Santa Barbara - in via S. Barbara presso l'artiglieria.
    • Sant'Angelo - viene citata nel dizionario del Casalis, insieme con Santa Barbara
    • Santa Lucia (Santa Luchia) - era in Via Deffenu.
    • Santa Orsola (Sant'Ursula) - era in Via Irillai.
    • Sant'Onofrio (Sant'Unofre) - era sul colle omonimo
    • Santa Marina - sempre sul colle sant'Onofrio
    • chiese campestri tra Valverde e Marreri: N.S. de sa Itria, Santu Jacu, Santu Gabinzu, Santu Tederu, Santu Tomeu, Santu Larentu, Santu Micheli. - I ruderi si trovano alle pendici settentrionali del M. Ortobene.
    • chiese campestri Prato sardo: San Marco Evangelista; Ispiridu Santu.


    Chiese moderne
    • Chiesa della Madonna delle Grazie - Si trova praticamente nel centro geometrico della città, proprio all'inizio del Corso Garibaldi.
    • Chiesa di San Giuseppe - Costruita relativamente da poco (negli ultimi 50 anni), ha una caratteristica immagine data dall'intera struttura in mattoncini rossi sporgenti.
    • Chiesa di San Domenico Savio, gestita dai Salesiani di Don Bosco
    • Chiesa di Salvatoris Mater, opera dell'architetto francese Savin Couëlle è gestita dalle carmelitane scalze dell'adiacente convento situato sulla collina di Cucullio a circa 650 mt. s.l.m..
    • Chiesa di San Paolo - Da poco fuori questa chiesa si può vedere un bellissimo panorama verso i quartieri di Città Giardino e Città Nuova.
    • Chiesa del Sacro Cuore di Gesù
    • Chiesa del Rosario - Nel quartiere San Pietro, a due passi dalla casa di Grazia Deledda. Venne edificata di fronte all'antica chiesa di San Pietro che non esisteva già più all'epoca del Casalis.
    • Chiesa della Beata Maria Gabriella - Situata nella periferia più estrema, a pochi passi dal Carcere di Badu 'e Carros e dalle difficoltà che esso porta, la parrocchia è stata completata appena nel 1999. È realizzata in stile moderno. La chiesa è dedicata alla Beata Maria Gabriella Sagheddu, nata a Dorgali.


    Siti archeologici - Nuraghe
    • Nuraghe Biscollai
    • Nuraghe Corte
    • Nuraghe Costiolu
    • Nuraghe Curtu
    • Nuraghe Dèo
    • Nuraghe Durgulileo
    • Nuraghe Feghei
    • Nuraghe Fenole
    • Nuraghe Fontana de Litu
    • Nuraghe Gabutele
    • Nuraghe Gurturiu
    • Nuraghe Jacupiu
    • Nuraghe Loddune
    • Nuraghe Loghelis
    • Nuraghe Monte Gurtei
    • Nuraghe Murichessa
    • Nuraghe Murzulo
    • Nuraghe Noddule
    • Nuraghe Nurdole
    • Nuraghe Nuschele
    • Nuraghe Orizanne
    • Nuraghe Pradu de Leo
    • Nuraghe Pedra Pertusa
    • Nuraghe S'Abba Viva
    • Nuraghe Sa Murta
    • Nuraghe Tanca Manna
    • Nuraghe Soddu
    • Nuraghe Sodduleo
    • Nuraghe Su Riu de Su Salighe
    • Nuraghe Su Saju
    • Nuraghe Tertilo
    • Nuraghe Tres Nuraghes
    • Nuraghe Tigologoe
    • Nuraghe Ugolio.


    Monumenti


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    "Sa Conca", casa nella roccia
    • Piazza Sebastiano Satta (Costantino Nivola);
    • Statua del Redentore, eretta nel 1901 (sul Monte Ortobene);
    • Scultura "Madre dell'ucciso" (Francesco Ciusa) (nella chiesa di San Carlo);
    • Porta della Città;
    • Porta della Barbagia con Madre mediterranea (Pietro Cascella);
    • Sa Conca, rifugio sotto roccia utilizzato come ovile (sul Monte Ortobene);
    • Rocciai del Monte Ortobene – monumenti naturali;
    • Omaggio a Grazia Deledda – monumento dell'artista Maria Lai, presso la Chiesa della Solitudine;


    Piazza Sebastiano Satta


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    La Piazza Sebastiano Satta con alcune
    delle sculture di Costantino Nivola
    La piazza-monumento è posta al centro di Nuoro fra il corso Garibaldi e il rione di Santu Prédu. Si tratta di piazza ideata da un importante artista contemporaneo. L'idea di utilizzare questo spazio, la vecchia piazza Plebiscito, per onorare il "vate di Sardegna", Sebastiano Satta (1867-1914), venne infatti perfezionata nel 1967 con l'incarico allo scultore oranese Costantino Nivola (1911-1988), reduce dall'esperienza americana a contatto con architetti come Le Corbusier o Saarinen. Nivola iniziò ad eseguire una serie di schizzi e scelse la strada minimalista con l'inserimento di piccole rappresentazioni in bronzo in giganteschi massi granitici provenienti dal monte Ortobene, anche al fine di legare il paesaggio urbano e quello del Monte visibile sullo sfondo della piazza. La piazza è di forma irregolare e pavimentata da piccole pietre di granito bianco squadrate, da cui sembrano nascere panche formate da parallelepipedi regolari dello stesso materiale. Le indicazioni simboliche emergenti dalla piazza rimandano alla cultura sarda, antropologica e arcaica. Nelle cavità protettive e allusive delle rocce la figura del poeta, rappresentata da otto piccole statue in bronzo, vi trova accoglienza, esaltazione fantastica o riposo. Qui la personalità di Sebastiano Satta è ripresa nei suoi diversi aspetti, umani e artistici. Nivola ha preteso l'intonaco e il bianco calce negli edifici circostanti per dare ampiezza, luminosità e semplicità all'architettura casuale degli abitati, tra i quali si riconosce la stessa casa in cui visse il poeta.

    Il Monte Ortobene


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    Vista dei boschi

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    Uno scorcio del Monte Corrasi

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    La statua del Redentore

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    Nostra Signora 'e su monte
    L'Ortobene è il monte dei nuoresi per eccellenza. Accoglieva tra i suoi boschi e i suoi graniti antichi abitati medioevali come Gortove(ne) (Ortobene), e Séuna lungo le rive del ruscello "Ribu de Séuna". Luogo di grande pregio paesaggistico e naturalistico, le sue fresche foreste sono meta di escursioni ad un passo dalla città. Offre inoltre grandi suggestioni in occasione delle nevicate invernali. La vetta raggiunge i 955 m s.l.m. In cima si raggiungono diversi belvedere ampiamente panoramici sul Monte Corrasi di Oliena, verso il Supramonte, il Gennargentu ed il mare. Importante e suggestivo è quello che ospita la statua del Redentore, opera di Vincenzo Ierace, cui è ispirata l'importante sagra folkloristica di fine agosto. La flora e la fauna sono quelle tipiche della Sardegna centrale, con boschi di lecci, volpi, cinghiali, ghiri, falchi e persino una coppia di aquile reali. Di rilevante interesse turistico ed antropologico è la cosiddetta "sa conca", una residenza rurale suggestiva e unica ricavata all'interno di un enorme masso di granito cavo e di forma sferica, situato sul ciglio della strada che porta al parco di "Sedda Ortai". Sempre nella zona di "Sedda Orthai", si trovano le tracce di un antichissimo villaggio (e di fortificazioni) del periodo alto medioevale. Ai piedi del monte in località Borbore si trova una interessante zona archeologica dove vi sono ancora varie Domus De Janas (secondo la tradizione "case delle fate"), necropoli risalenti al Neolitico finale (cultura di Ozieri, 3200-2800 a.C.) ed Eneolitico (cultura Monte Claro, 2400-2100 a.C.). In cima si trova l'antica chiesa campestre di Nostra Signora 'e su Monte. Presso le pendici settentrionali del Monte vi sono ulteriori tracce del vissuto storico dell'uomo come il santuario di Valverde, i ruderi delle chiese di Sa Itria e di Santu Jacu, che presentano ancora i muri perimetrali e le basi degli archi in granito, infine le tracce della Chiesa di Santu Tomeu. Queste strutture religiose, insieme al mulino ottocentesco sito in località "Caparedda", meriterebbero interventi di recupero e restauro. Interessanti, infine, i numerosi "rocciai", cumuli naturali di massi granitici, nati con l'erosione dei venti, che assumono spesso forme inusuali come ad esempio le rocce dell'Orco, o quella della spugna.

    Il borgo di Lollove
    Si tratta di un borgo di origini medievali, isolato, abitato da poche decine di residenti, sospeso nel tempo e nel silenzio. Oggi questo minuscolo gruppo pittoresco di case costruite all'autentica ed antica "maniera sarda" regala un'atmosfera affascinante. Fra i ruderi abbandonati e le poche case abitate si erge la chiesetta seicentesca della Maddalena, in stile tardo-gotico, con archi a sesto acuto in trachite rossa. Nel villaggio non vi è alcun tipo di attività commerciale. Si tramanda la leggenda che il borgo venne colpito dalla maledizione di alcune suore fuggite a causa della relazione carnale di qualcuna di esse con i pastori: “Sarai come acqua del mare; non crescerai e non morirai mai”. Dal Dizionario Angius Casalis si apprende che: I lollovesi sono nella diocesi di Nuoro, e curati nello spirituale da un solo prete. La chiesa parrocchiale di antica struttura è sotto l'invocazione di s. Maria Maddalena. Il principale del paese la crede edificata da' goti, perché la campana ha una iscrizione in caratteri gotici! Le feste principali sono per la titolare, per s. Biagio, e per s. Eufemia. Come non hanno ospiti, così se la godono essi soli quasi in famiglia e ballano a coro di voci. Il cimiterio è contiguo alla chiesa e sta fuori dell'abitato a pochi passi. Quanti nascono, tanti muojono in questo paese. I numeri del movimento della popolazione sono nascite due, morti due, matrimonii due.

    Musei
    • Museo Deleddiano ("Museo di Grazia Deledda")
    • Museo della Vita e delle Tradizioni Popolari sarde ("Museo del costume" o Museo etnografico)
    • Museo archeologico Nazionale – mostra reperti dal 500.000 a.C. sino al basso Medioevo. Vi si ritrovano anche varie ricostruzioni archeologiche tra cui la vasca lustrale di Sedda 'e sos carros di Oliena.
    • Museo d'arte della provincia di Nuoro (MAN) – ospita mostre temporanee internazionali oltre ad una collezione permanente di importanti artisti sardi del XIX e XX secolo.
    • Museo Ciusa - Tribu – ospita la collezione di alcune tra le più famose sculture di Francesco Ciusa.


    Teatri
    • Il Teatro Eliseo, da poco ristrutturato: spettacoli di teatro e cinema.
    • Il cine-teatro dell'oratorio "Le Grazie", attualmente chiuso.
    • L'anfiteatro Fabrizio De Andrè, tra i teatri all'aperto più grandi della Sardegna; ospita numerosi concerti durante l'estate.
    • Il teatro del Museo Etnografico di Nuoro: numerosi dibattiti e spettacoli teatrali.
    • Auditorio della Biblioteca "Sebastiano Satta", ospita stabilmente numerose presentazioni di libri, e numerosi dibattiti.


    Personalità legate a Nuoro
    • Salvatore Cambosu, scrittore e giornalista
    • Francesco Ciusa, scultore
    • Elettrio Corda, scrittore e storico
    • Attilio Deffenu, giornalista
    • Grazia Deledda, scrittrice, premio Nobel per la letteratura nel 1926
    • Sebastiano Guiso, fotografo
    • Marcello Fois, scrittore, commediografo e sceneggiatore
    • Paolo Fresu, musicista
    • Maria Giacobbe, scrittrice
    • Flavio Manzoni, designer e architetto
    • Salvatore Mannironi, politico
    • Piero Marras, musicista
    • Mario Melis, politico
    • Bruno Murgia, politico
    • Franco Oppo, compositore
    • Gonario Pinna, avvocato, saggista e scrittore
    • Giovanni Pintori, pittore e designer
    • Massimo Pittau, linguista e glottologo
    • Antonio Ruju, pittore e poeta
    • Pasquale Ruju, fumettista e doppiatore
    • Salvatore Satta, giurista e scrittore
    • Sebastiano Satta, poeta, scrittore, avvocato e giornalista
    • Salvatore Sirigu, calciatore
    • Sebastiano Mannironi, sollevatore di pesi, medaglia di bronzo alle Olimpiadi di Roma 1960
    • Nardino Masu, sollevatore di pesi


    Cittadini onorari di Nuoro
    • Licinio Contu (medico di fama internazionale)
    • Paolo Fresu (trombettista e compositore)
    • Giovanni Lilliu (archeologo)
    • Gianfranco Zola (calciatore)
    • Don Luigi Ciotti (sacerdote attivo nella lotta alla mafia)
    • Giovanni Floris (giornalista, figlio di padre nuorese).
  6. .

    Oristano

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    - Fonte -

    Oristano (Aristanis in sardo Oristán in spagnolo, Oristany in catalano) è un comune italiano di 32.113 abitanti, capoluogo della provincia omonima nella Sardegna centro-occidentale. È situata nella parte settentrionale della pianura del Campidano, nella regione detta Campidano di Oristano. Istituita capoluogo di provincia il 16 luglio 1974, ha una storia antica, in particolare legata al Giudicato di Arborea ed alla figura di Eleonora d'Arborea.

    Geografia fisica

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    Il golfo di Oristano visto dal Monte Arci.

    Oristano si trova sulla costa centro-occidentale della Sardegna, di fronte all'omonimo golfo.

    Clima

    Il golfo, di forma approssimativamente ovale, è chiuso da Capo Frasca a sud e Capo San Marco a nord. Oristano rimane dunque abbastanza esposta ai venti occidentali. Il vento dominante è il maestrale, che spira da NW e raggiunge per alcuni giorni l'anno intensità di tempesta, con raffiche superiori ai 100 km/h su Capo Frasca. Questi eventi arrivano relativamente smorzati a Oristano (intorno agli 80 km/h) grazie alla moderata schermatura dei due capi, la cui altitudine massima è sugli 80 metri. I maggiori rilievi nella zona sono il Montiferru a N (1015 m. s.l.m.) e il monte Arci a Est (815 m. s.l.m.), troppo lontani per fornire adeguato riparo dalla tramontana e dal levante. La città rimane dunque esposta a tutti i quadranti, in particolare allo scirocco che spirando da SE può attraversare liberamente l'intera piana del Campidano da Cagliari a Oristano. Della pianura del Campidano Oristano occupa appunto il lembo NW, che risulta essere il più fertile grazie ai sedimenti fini trasportati dal fiume Tirso, sulla cui riva sinistra poggia Oristano a 5 metri sul livello del mare. Il Tirso è il fiume più lungo della Sardegna, la attraversa in direzione SW lungo l'ampia valle del Goceano per sfociare nel Golfo di Oristano, a circa 4 km in linea d'aria dalla città. Il clima, temperato delle medie latitudini, presenta la stagione estiva asciutta e calda e inverno fresco e piovoso (clima mediterraneo). Le stagioni intermedie hanno temperature miti e gradevoli. Oristano è caratterizzata da alti tassi d'umidità, che la rendono una città parecchio umida, soprattutto d'estate. Nonostante ciò è frequentemente ventilata grazie anche alla presenza delle brezze marine che mitigano la calura in estate. La stagione piovosa si concentra tra Ottobre e Marzo, mentre la piovosità media è di 580 mm/anno. A volte le dense nebbie comuni nella media valle del Tirso riescono a penetrare nella pianura, arrivando alla città. Non sono rare le brinate invernali, soprattutto nei quartieri periferici della città dove, in gelide notti invernali, la colonnina del mercurio riesce a spingersi qualche grado sotto lo zero. Nonostante disti in linea d'aria circa 18 km e si trovi in provincia di Medio-Campidano, la stazione di riferimento per la provincia di Oristano è situata a Capo Frasca che, assieme a Capo San Marco, formano il golfo di Oristano. Essendo posta ad un passo dal mare, ne risentono soprattutto i valori di temperatura minima nei mesi invernali (nettamente più alti rispetto alla più interna città) e i valori di temperatura massima estivi, decisamente mitigati dalla immediata vicinanza dal mare. In base alle medie climatiche del periodo 1971-2000, la temperatura media del mese più freddo, febbraio, è di +10,4 °C, mentre quella del mese più caldo, agosto, è di +25,0 °C; mediamente si contano zero giorni di gelo all'anno e 21 giorni con temperatura massima uguale o superiore ai +30 °C. I valori estremi di temperatura registrati nel medesimo trentennio sono i -4,8 °C del gennaio 1981 e i +41,6 °C dell'agosto 1999. Le precipitazioni medie annue si attestano a 529 mm, mediamente distribuite in 71 giorni di pioggia, con minimo in estate e moderato picco massimo in autunno. L'umidità relativa media annua fa registrare il valore di 81 % con minimi di 78 % a giugno, a luglio, ad agosto e a settembre e massimo di 85 % a gennaio; mediamente si contano 10 giorni di nebbia all'anno. Di seguito è riportata la tabella con le medie climatiche e i valori massimi e minimi assoluti registrati nel trantennio 1971-2000 e pubblicati nell'Atlante Climatico d'Italia del Servizio Meteorologico dell'Aeronautica Militare relativo al medesimo trentennio.

    Storia

    La bizantina Aristianis, sorta presso l'antica città fenicia di Othoca (attuale Santa Giusta), divenne un centro importante nel 1070, quando l'arcivescovo arborense Theoto vi trasferì la sede vescovile, abbandonando l'ormai decaduta Tharros, e il giudice Orzocco I la eresse a capitale del Giudicato di Arborea. Prima di allora è ragionevole pensare che vi fosse un borgo abitato da contadini e allevatori cresciuto all'ombra delle più importanti città vicine.Questo trasferimento probabilmente fu dovuto alle incursioni saracene che in quegli anni imperversavano sul litorale occidentale sardo, e alle quali la città di Tharros era soggetta. La nuova città era invece protetta dalle eventuali incursioni nemiche da barriere naturali quali gli stagni di Santa Giusta e la biforcazione del fiume Tirso, che prima di arrivare ad Oristano si divideva in due rami, di cui uno passava a nord e l'altro a sud della città. Il medioevo oristanese fu caratterizzato da numerose guerre tra il giudicato arborense e gli altri regni sardi . Nel 1198 il giudicato venne invaso dal giudice di Cagliari Guglielmo I Salusio IV che dilagò sulla capitale spargendo distruzione . La città fu presto ristrutturata dai successivi giudici arborensi del XIII e XIV secolo che migliorarono la antiche fortificazioni, erette dal giudice Barisone, attraverso la costruzione di circa ventotto torri e l'innalzamento delle mura cittadine fino ai dieci-quindici metri . Oristano all'epoca contava circa 10.000 abitanti e comprendendo i sobborghi di San Lazzaro , Nono , Maddalena e Vasai raggiungeva un'estensione di circa 27 ettari . La forma della città a fuso era tipica della città-fortificata medioevale italiana. La reggia giudicale si trovava nell'attuale Piazza Mannu , in passato denominata "Sa Majorìa". A seguito delle conquiste catalano-aragonesi in Sardegna, il giudicato di Arborea costituì l'ultimo bastione di resistenza all'invasione aragonese, culminata nel tentativo di egemonia sull'intera isola operato dal giudice Mariano IV, 1347-75, e dai suoi figli Ugone III e Eleonora, 1375-1404, reggente del figlio. Il Giudicato di Arborea fu il più longevo degli Giudicati sardi, e cessò di esistere nel 1420, quando l'ultimo re di Arborea, Guglielmo III di Narbona, cedette quel che rimaneva dell'antico regno alla Corona aragonese per 100.000 fiorini d'oro, in seguito alla sconfitta subita nella Battaglia di Sanluri nel 1409. Conquistato quindi dagli Aragonesi fu successivamente trasformato in marchesato. Leonardo Alagòn, ultimo marchese di Oristano, tentò di riportare la città all'antica gloria giudicale ma nel 1478 a Macomer il suo esercito subì una pesantissima sconfitta e il marchesato fu inglobato nel Regno di Sardegna. Da quel momento Oristano , elevata al rango di città regia il 15 agosto 1479 seguì la comune storia della Sardegna attraverso le dominazioni aragonese-spagnola (fino al 1708) e piemontese-italiana (dal 1720). Nell'aprile del 1921 Davide Cova, Emilio Lussu, Camillo Bellieni con altri reduci sardi della prima guerra mondiale, fissarono la data ufficiale di fondazione del Partito Sardo d'Azione.

    Monumenti e luoghi di interesse

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    Il campanile della cattedrale di Santa Maria Assunta

    Architetture religiose

    • Cattedrale di Santa Maria Assunta (1130). Distrutta in un assedio, è stata ricostruita sotto il regno di Mariano II. Della struttura originale rimangono solo basi dell'abside e del campanile e la cappella del Rimedio, che ospita alcune sculture medievali.
    Nel 1733 la Cattedrale gotica del XIII secolo fu abbattuta per far posto ad una barocca. Alla ricostruzione del XVII secolo appartiene la Cappella dell'Archivietto. Al suo interno sono custodite le reliquie di Sant'Archelao.
    • Chiesa di San Francesco, in stile neoclassico, l'attuale chiesa è opera dell'ingegnere cagliaritano Cima nel 1835
    • Chiesa di Santa Chiara (consacrata nel 1428). È un edificio in stile Franco-Gotico con una singola navata e un'abside quadrata
    • Chiesa e chiostro del Carmine. Opera dell'architetto Viana, fu costruita su commissione del Marchese d'Arcais in uno stile Barocco-Rococò. Si tratta di uno dei migliori esempi di Barocco e Rococò oristanesi
    • Basilica del Rimedio, si trova nella frazione di Donigala F., è meta di pellegrinaggio durante i giorni di N.S. del Rimedio l'8 settembre
    Chiesa di San Martino
    • San Sebastiano. Conosciuta anche come San Sebastiano fuori le mura, era l'unica chiesa medievale, con S.Martino, che si trovava fuori dal circuito murario della città, era frequentata soprattutto da pellegrini e contadini.
    • San Giovanni dei fiori, inizialmente chiamata San Giovanni di fuori, era una delle chiesette campestre della città medievale
    • Sant'Efisio. Chiesa barocca risalente al XVIII secolo, si trova nel quartiere di Su Brugu
    • Santa Lucia. Chiesa attualmente in stile neoclassico, si trova nel centro storico poco distante dalla chiesa di santa Chiara
    • Oratorio delle Anime, risalente alla prima metà del XIII secolo, si trova nella frazione di Massama


    Chiese moderne

    • San Paolo Apostolo. Ubicata nei quartieri di Toràngius e Axi Anadis è stata costruita negli anni novanta, è mantenuta dai frati francescani di San Francesco.
    • San Giuseppe lavoratore. Si trova nella nuova zona di Sa Rodia. Sacro Cuore. Ubicata nella zona che prende il suo nome e che prima era chiamata "Corea", è una chiesa in cemento armato risalente agli anni sessanta-settanta. San Giovanni Evangelista. Si trova nel quartiere San Nicola.


    Architettura civile

    • Palazzo degli Scolopi - piazza Eleonora - sede del Comune
    • Palazzo d'Arcais - corso Umberto (via Dritta) - sede della Provincia
    • Seminario Arcivescovile - via Duomo
    • Palazzo Falchi - corso Umberto (via Dritta)
    • Palazzo Carta - piazza Eleonora
    • Casa de La Ciudad - piazza di Città (piazza Eleonora)
    • Palazzi Bastogi (palazzi SAIA), chiaro esempio di architettura razionalista ad Oristano - via Cagliari.
    • Palazzo So.Ti.Co., è tutt'oggi al centro di numerose polemiche per via del suo contrasto urbanistico con la prospiciente Torre di San Cristoforo - piazza Roma.
    • Palazzo Tolu - Via Vittorio Emanuele II


    Monumenti

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    Torre di San Cristoforo

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    Statua di Eleonora d'Arborea


    Torre di Mariano II o Torre di San Cristoforo o Port'a Ponti. Eretta nel 1290, era una delle due principali porte d'ingresso dell'antica cinta muraria, si trova nell'attuale piazza Roma. La gemella Torre di San Filippo o Port'a Mari, che era ubicata nell'attuale Piazza Manno, è stata abbattuta nel 1907, quando in grave stato di abbandono e fatiscenza fu giudicato "di nessun valore artistico o culturale" da parte del Ministero della Pubblica Istruzione.
    • Torrione di Portixedda
    • Statua di Eleonora d'Arborea
    • Monumento ai Caduti in Piazza Mariano IV


    Musei
    • Museo archeologico Antiquarium Arborense
    • Raccolta dell'opera del Duomo


    Feste e fiere

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    Sartiglia


    La manifestazione più importante è la Sartiglia: giostra equestre di origine medievale, eredità lasciata dalla dominazione catalana, che si tiene l'ultima domenica e l'ultimo martedì di carnevale. È corsa dai due gremi più antichi di Oristano: il gremio dei contadini, che corre la domenica; il gremio dei falegnami che corre il martedì. Il capo-corsa è "Su Componidori", lo accompagna il secondo "Su Secundu", il terzo "Su Terzu Cumpoi" e un certo numero di cavalieri. Partecipano alla sartiglia 40 pariglie, scelte tramite selezioni, per un totale di 120 cavalieri. La particolarità di "Su Componidori" è che dal momento in cui gli viene apposta sul viso la tradizionale maschera non potrà assolutamente più toccare terra fino al termine della manifestazione, che si concluderà circa 6/7 ore dopo; tradizione vuole che una sua eventuale caduta da cavallo porti a una annata di carestia e sciagure in genere. Ciascun cavaliere prende la rincorsa lungo la via Duomo "seu de Santa Maria" e tenta di raggiungere con la spada una stella appesa ad un nastro, posto a circa metà del percorso. Tradizione vuole che maggiore sia il numero delle stelle conquistato, migliore sarebbe l'auspicio della fortuna, la fertilità dei campi nel nuovo anno. A fine corsa, "Su Componidori" benedice la folla con un mazzolino di viole "Sa Pippia de Maiu". Dopo la Sartiglia si corre la "Pariglia", lungo "s'arruga de Santu Sebastianu" l'attuale via Mazzini. I cavalieri, in questo caso corrono a tre per volta, combinandosi in varie figure, con temerarie acrobazie, in piedi sulle groppe degli animali e in vari altri modi, formando triadi, si esibiscono in evoluzioni sui cavalli in corsa.

    • Il martedì dopo Pentecoste si festeggia, nella chiesa di San Martino, la Madonna d'Itria con una processione alla quale partecipano anche diversi gruppi in costume e con un concerto di suoni e canti sardi nella piazza omonima.
    • Da alcuni anni a fine maggio si svolge il Festival "Sonus, cantus e ballus", organizzato dalla Scuola Media "Leonardo Alagon", col patrocinio del Comune, a cui partecipano gruppi in costume di varie scuole della Sardegna. Quest'anno il festival è arrivato alla nona edizione.
    • L'8 settembre si festeggia la Madonna del Rimedio.


    Personalità legate a Oristano
    • Mariano IV d'Arborea, giudice
    • Eleonora d'Arborea, giudichessa
    • Leonardo Alagon, ultimo marchese del Marchesato di Oristano
    • Ernesto Campanelli, aviatore
    • Tiberio Murgia, attore
    • Benito Urgu, cantante, comico e cabarettista
    • I Barritas, gruppo musicale beat attivo negli anni '60
    • Gianfranco Matteoli, ex calciatore di Reggiana, Como, Sampdoria, Inter, Cagliari, Perugia, Nazionale Italiana di calcio
    • Lucio Abis, politico, ex presidente della Regione Sardegna, ex ministro
    • Alessandro Ghinami, politico, ex presidente della Regione Sardegna, ex sottosegretario
    • Alfredo Corrias, politico, presidente della Regione Sardegna, senatore
    • Davide Cova, politico, giornalista, ingegnere e architetto
    • Cristian Cocco, personaggio televisivo, comico e cabarettista
    • Antonio Corriga, pittore
    • Carlo Contini, pittore
    • Antonio Amore, pittore, scultore
    • Antonio Marchi, pittore, scultore
    • Antonio Garau, commediografo
    • Peppetto Pau, poeta, scrittore, studioso d'arte e di archeologia, storico
    • Monsignor Ignazio Sanna, Arcivescovo metropolita di Oristano
    • Monsignor Sergio Pintor, attualmente vescovo di Ozieri
    • Valentina Uccheddu, ex primatista e campionessa italiana di salto in lungo, Nazionale Italiana di Atletica Leggera
    • Anna Rita Angotzi, ex atleta, velocista della Nazionale Italiana di Atletica Leggera
    • Milko Campus, ex atleta italiano, campione italiano di salto in lungo, Nazionale Italiano di Atletica Leggera
    • Nicola Farron, attore
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    Salandra

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    - Info -

    Salandra è un comune italiano di 3.003 abitanti della provincia di Matera in Basilicata.

    Geografia

    Il centro abitato sorge su una collina a 598 m s.l.m. nella parte nord-occidentale della provincia in posizione dominante la valle del torrente Salandrella, che costituisce il corso iniziale del fiume Cavone. Il versante che si affaccia sulla valle della Salandrella è caratterizzato da strapiombi e dai caratteristichi calanchi argillosi, mentre invece il versante opposto del territorio comunale, quello che si affaccia sul torrente Gruso, è ricoperto da boschi di querce, che si estendono per oltre 1000 ettari, uliveti e frutteti. Confina a nord con i comuni di Grottole (18 km) e Grassano (22 km), ad est con Ferrandina (18 km), a sud-ovest con San Mauro Forte (14 km) e ad ovets con Garaguso (11 km).Dista 54 km da Matera e 62 km dal capoluogo di regione Potenza. A tre chilometri dal centro abitato si trova una frazione di Salandra denominata Montagnola.

    Storia

    Relativamente all'origine del nome vi sono due ipotesi; secondo la prima deriva dal greco Thalassa andros, nome composto che significa mare-uomini, e quindi dalla colonizzazione della Magna Grecia. La seconda ipotesi fa invece riferimento al dio greco Acheloo, divinità fluviale da cui prese il nome la Salandrella, l'antico Acalandro citato da Plinio il Vecchio nella sua Naturalis historia; il toponimo Salandra potrebbe quindi derivare da Acheloo Andros, cioè uomini dell'Acheloo.Il suo territorio fu abitato dagli Enotri sin dall'VIII secolo a.C., come testimoniato dai resti di un antico villaggio in località Monte Sant'Angelo. L'odierno abitato risale invece all'epoca normanna; le prime notizie ufficiali su Salandra si ritrovano in una bolla papale del 1060. Nel 1119 la contessa Emma di Sicilia, moglie di Rodolfo di Montescaglioso e figlia di Ruggero d'Altavilla, concesse in dono il feudo di Salandra all'Abbazia benedettina di San Michele Arcangelo di Montescaglioso.Successivamente in epoca sveva Salandra fu proprietà del barone Gilberto da Salandra, mentre in epoca angioina passò alla famiglia Sangineto. Nel 1381, in seguito al matrimonio di Margherita di Sangineto con Venceslao Sanseverino, il feudo passò ai Sanseverino, conti di Tricarico. Nel 1485 Antonello Sanseverino, principe di Salerno e capo della Congiura dei Baroni, fu privato di tutti i suoi feudi dal re Ferdinando I di Napoli; il feudo di Salandra fu così venduto e ricomprato più volte negli anni successivi.Nel 1544 Salandra fu acquistata definitivamente da Francesco Revertera, luogotenente della Regia Camera della Sommaria; i Revertera, diventati duchi di Salandra dal 1614, ne restarono proprietari fino al 1805. Nel 1656 il paese fu colpito dalla peste, ed a seguito di quella calamità fu proclamato patrono San Rocco, il santo taumaturgo. Nel 1799 partecipò attivamente ai moti per la Repubblica Partenopea con l'innalzamento dell'albero della libertà. Successivamente fu duramente colpita dal terremoto del 1857 che sconvolse la Basilicata. Nel 1861, durante il brigantaggio, Salandra fu assaltata dai briganti capeggiati da Crocco e da Borjes: anche se protetto dalla guardia nazionale, il paese fu invaso dai briganti in quanto il popolo, ostile ai signori, aprì un varco ai briganti consentendo loro di entrare nell'abitato.

    Monumenti e luoghi di interesse

    • Il Convento dei Padri Riformati (o di San Francesco): attualmente sede del municipio, fu edificato a partire dal 1573 per volere di Francesco Revertera, signore di Salandra, e la sua costruzione fu sostenuta anche da numerose offerte da parte della popolazione. Il convento, dedicato inizialmente a Sant'Antonio e poi a San Francesco, comprendeva un seminario e fu a lungo sede di Università di Teologia. Vi fu educato anche padre Serafino da Salandra, definitore della provincia di Basilicata e custode dell'ordine dei Riformati, nonché poeta.
    • La chiesa di Sant'Antonio, annessa al convento. È caratterizzata da un elegante portale settecentesco abbellito da sculture raffiguranti due leoni in stile romanico.Al suo interno vi sono numerose opere di interesse artistico, tra cui un Polittico di Simone da Firenze del 1530 raffigurante l'Annunciazione, un altro Polittico del 1580 opera di Antonio Stabile ed una lunetta raffigurante la Madonna col Bambino opera di Pietro Antonio Ferro, il pregevole organo della cantoria datato 1570, uno dei più antichi tra quelli funzionanti in Italia, un altare del XVII secolo, numerose tele tra cui l'Ultima Cena, Madonna con bambino, S. Antuono, S. Francesco, S. Gennaro, S. Giovanni Battista, S. Giovanni da Capestrano, S. Leonardo, S. Nicola, S. Rosa, S. Vescovo e S. Vito, tutte attribuite a Domenico Guarino, e statue del XVI e XVII secolo.
    • La chiesa Madre: intitolata alla Santissima Trinità, fu edificata tra l'XI ed il XII secolo; fu quasi completamente distrutta dal terremoto del 1857 e ricostruita. La chiesa ha un piccolo campanile con tre campane e l'interno è ad una navata.
    • La chiesa della Madonna del Monte: si trova a 7 km dal paese sulla strada che porta alla stazione ferroviaria ed alla Basentana. La chiesetta sorge nel luogo dove la leggenda narra che un pastore, mentre abbatteva un albero, vide al suo interno l'immagine della Madonna. La cappella è stata ingrandita alla fine dell'ottocento, e l'immagine della Vergine è custodita nella nicchia dell'altare. La festa si celebra l'ultima domenica di maggio.
    • Il Castello, risalente al XII secolo, è situato nell'antico nucleo medioevale che si trova nella parte alta del paese. Oggi sono visibili i suoi ruderi, ed in particolare due arcate e pochi resti delle mura.


    Personalità legate a Salandra
    • Padre Serafino (1595-?), religioso, scrittore.
    • Antonio Tricarico (1912-1991), calciatore.
    • Vincenzo Visceglia (1903-1971), cartografo.
  8. .

    Grottole

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    - Fonte -

    « Non è facile raccontare questa storia a chi non conosce la valle del Basento, il cielo celeste come i colori a matita dei bambini, i pendii che il grano rende verdi a primavera e gialli d'estate, i fuochi delle stoppie, i tralicci per l'estrazione del petrolio, i paesi agonizzanti sulle colline, il volo del nibbio. »
    (Dal romanzo «Mille anni che sto qui» di Mariolina Venezia)

    Grottole è un comune italiano di 2.440 abitanti della provincia di Matera in Basilicata.

    Geografia

    Con un territorio esteso circa 11.000 ettari, Grottole è situata tra due fiumi: il Basento ed il Bradano, nel quale confluiscono due grossi ruscelli denominati Rovivo e Bilioso. Parte del suo territorio rientra nella Riserva regionale San Giuliano. Lungo il versante che si affaccia sulla valle del Bradano si estende un'area boschiva denominata bosco Le Coste. Il centro abitato si trova ad un'altitudine di 481 m s.l.m. nella parte nord-orientale della provincia. ed il suo territorio confina a nord con i comuni di Irsina (31 km) e Gravina di Puglia (BA) (42 km), ad est nord-est con Matera (34 km), a sud-est con Miglionico (13 km), a sud con Salandra (19 km) e Ferrandina (23 km) e ad ovest con Grassano (12 km) e Tricarico (29 km). Dista come già detto 34 km da Matera e 66 km dal capoluogo di regione Potenza.
    • Classificazione sismica: zona 3 (sismicità bassa)


    Clima

    La stazione meteorologica più vicina è quella di Matera. Secondo i dati medi del trentennio 1961-1990, la temperatura media del mese più freddo, gennaio, si attesta a +6,0 °C, mentre quella del mese più caldo, agosto, è di +25,1 °C.

    Storia

    Grottole ha origini remote tanto da essere uno dei centri più antichi della regione. I ritrovamenti di insediamenti preistorici, greci e romani sono una precisa testimonianza in tal senso. Il toponimo potrebbe derivare dal latino cryptulae ossia grotticelle, locali adibiti alla lavorazione dell'argilla, arte per la quale Grottole è rimasta famosa nei secoli.In epoca magno-greca, Grottole faceva parte della VII regione metapontina, colonizzata dai Greci a partire dall'VIII secolo a.C. Fu fortificata dai Longobardi, dai quali riuscì a sottrarsi intorno all'anno 1000. Nel 1061, in epoca normanna, il feudo di Grottole passò sotto il dominio di Guglielmo Braccio di Ferro, e successivamente passò a Roberto il Guiscardo e poi ai conti Loffredo di Matera. Nel corso dei secoli il feudo di Grottole fu conteso da diverse Signorie. Carlo I D'Angiò l'assegnò a Ruggero di Lauro, conte di Tricarico, il quale aveva appoggiato la conquista angioina, e da questi passò ai Monteforte ed agli Orsini Del Balzo. Agli inizi del '500 era un possedimento della famiglia Gaetano Dell'Aquila d'Aragone. Nel 1534 passò sotto il dominio dei marchesi Sanchez De Luna d'Aragona, i tesorieri del Regno di Napoli, mentre nel secolo successivo si susseguirono i Caracciolo, gli Spinelli di San Giorgio, fino al 1738 quando passò ai Sanseverino di Bisignano per matrimonio. Dopo il 1806 con la legge eversiva della feudalità i beni vennero divisi tra i discendenti dei Sanseverino e D. Rosa Miracco, una figlia naturale di Luigi Sanseverino 13° Principe di Bisignano, da sempre molto legato al feudo di Grottole. Solo nel 1874 Grottole si liberò dell'ultimo feudatario Principe Sanseverino. Il territorio comunale (l'antica universitas come venivano chiamati un tempo i comuni) era suddiviso in contrade.

    Monumenti e luoghi di interesse

    • La Chiesa Madre di Santa Maria Maggiore, con annesso l'ex convento dei frati domenicani, al suo interno contiene altari lignei, la cantoria ed il coro, del '700, oltre a numerose tele e statue. Pregevole una statua in pietra raffigurante una Madonna con Bambino, di scuola lucana.
    • La Chiesa di San Rocco, già detta di Santa Maria la Grotta. Il culto nei confronti del santo pellegrino francese prese piede dopo la peste del 1655. L'interno è composto da tre navate. Nella navata maggiore è conservato un prezioso ed enorme polittico dell'artista Pietro Antonio Ferro, risalente al XVII secolo, raffigurante le Sette opere di misericordia corporale. Nella navata di sinistra, l'unica abbellita con stucchi, vi è l'altare di San Rocco e l'altare della Madonna dell'Assunta.
    • Il castello è posto sulla collinetta della Motta, distaccata dal centro abitato. Si vuole edificato nell'851 dal principe longobardo Sichinolfo di Salerno. Presenta una torre centrale, a base quadrata, e numerosi ambienti attigui che formano il corpo vero e proprio del palazzo. Agli inizi dell'800, prima cioè del cambio di destinazione d'uso dell'immobile, la struttura era composta da 13 vani soprani, 6 sottani, la stalla e la cantina. Di grande pregio è un grande camino, posto in prossimità della torre, abbellito di stucchi.
    • I ruderi della Torre di Altojanni, posti a circa 12 chilometri di distanza dal paese, nelle vicinanze del santuario di sant'Antonio abate. Si tratta di una vera e propria città medioevale, che scomparve, per cause ignote, probabilmente già nel XV secolo. Sono visibili i resti di una costruzione difensiva, di una chiesa e di numerose fosse usate per la conservazione delle derrate alimentari.
    • Il Santuario di Sant'Antonio Abate, risalente alla fine del Trecento, fu edificato per volere della regina Giovanna. Si trova situato sulla sommità dell'altopiano di Altojanni, poco distante dai resti archeologici dello scomparso centro abitato. È attualmente meta di pellegrinaggio il giorno 17 gennaio, festa liturgica del santo egiziano, nonché la domenica di Pentecoste ed il lunedì e martedì successivo.


    Eventi e manifestazioni
    • Festa di Sant'Antonio Abate - si festeggia il martedì dopo la Pentecoste nella località dove si trova il Santuario dedicato al Santo: è una festa campestre.
    • Festa del Crocifisso - si festeggia la prima domenica di maggio.
    • Festa della Madonna dell'Assunta e relativa fiera - ricorre il 15 agosto.
    • Festa patronale di San Rocco - ricorre il 16 agosto.
    • Fiera di San Luca - si svolge il 13 ed il 14 ottobre.


    Persone legate a Grottole
    • Carlo Cecere - compositore
  9. .

    Ferrandina

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    - Info -

    Ferrandina (Frannìn in dialetto locale) è un comune italiano di 9.062 abitanti della provincia di Matera in Basilicata. Per il numero dei suoi abitanti è il sesto comune più popoloso della provincia e il tredicesimo di tutta la Basilicata.

    Geografia fisica

    Il paese sorge in collina a 497 m s.l.m. in Val Basento sulla sponda occidentale dell'omonimo fiume Basento nella parte centro-settentrionale della provincia. Per la sua altitudine Ferrandina fa parte della media Collina materana e Il territorio del comune ha un'estensione di 215,55 km2, il quarto per grandezza di tutta la Basilicata. I paesi limitrofi al Comune di Ferrandina sono: Pomarico e Miglionico (17 km), Salandra (18 km), Pisticci (22 km), Grottole (26 km), San Mauro Forte (31 km) e Craco (33 km). Dista 35 km da Matera e 77 km dal capoluogo di regione Potenza.

    Clima

    Il clima è tipico della media Collina Materana, con estati calde ma poco afose ed inverni piuttosto freddi che spesso diventano gelidi per impulsi freddi dall' est Europa (specie a gennaio e febbraio). Le precipitazioni sono frequenti e piuttosto abbondanti soprattutto in autunno e in inverno dove assumono anche carattere nevoso. Caratteristica della zona è la presenza frequente di fitte nebbie in autunno-inverno.

    Storia
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    Vista del paese

    Le radici di Ferrandina affondano nella Magna Grecia, attorno al 1000 a.C. Il suo nome era Troilia, mentre la sua acropoli-fortezza si chiamava Obelanon (Uggiano). Troilia fu costruita per ricordare e onorare la città distrutta dell'Asia Minore, Troia. Durante l'epoca romana Troilia e Obelanon furono centri importanti di cultura ellenica e sempre più lustro acquistarono in epoca bizantina. Con la caduta del dominio greco, Longobardi e Normanni si impossessarono della città.Il nome Ferrandina si deve a Federico d'Aragona che nel 1494 la battezzò così in onore di suo padre, re Ferrante (o Ferrantino). Nel 1507 Ferdinando il Cattolico le attribuì il titolo di "civitas".Un tempo era nota per la produzione di tessuti in lana, tra cui la ferlandina o felandina, molto apprezzata e richiesta nel Regno di Napoli e dai domenicani, che proprio a Ferrandina si insediarono e crearono un centro agricolo e urbano molto organizzato tanto da erigere, nel 1546, la cupola del Monastero di San Domenico come simbolo di potere.Ferrandina prese parte ai moti del 1820-21 e del 1860. Qui nel marzo del 1862 Carmine Crocco, a capo dei briganti, affrontò e distrusse una compagnia del 30º Rgt. Ftr. dell'esecito piemontese.Nel 1921 Ferrandina fu teatro di violenze squadriste: il sindaco e consigliere provinciale socialista Nicola Montefinese venne ucciso.Nel settembre del 1943 Ferrandina insorse contro i gerarchi fascisti. Lo spirito di ribellione non si attenuò sino al 2 agosto del 1945, quando i contadini diedero vita ad una sommossa per chiedere l'allontanamento dei latifondisti fascisti e l'assegnazione delle terre incolte. Nel corso dei tumulti venne assassinato Vincenzo Caputi, ritenuto il mandante dell'uccisione di Montefinese. Per timore che la protesta dilagasse, il paese restò isolato, con le linee elettriche e telefoniche tagliate. L'ordine fu ristabilito con l'invio, da parte del governo provvisorio di unità antifascista, di 100 carabinieri da Napoli, 250 alpini della divisione Garibaldi e l'arrivo a Ferrandina, il 4 agosto, del ministro Scelba.Nel novembre 2003 la comunità ferrandinese, organizzando presidi e blocchi stradali, ha partecipato attivamente alla protesta contro la decisione del governo Berlusconi di costruire il deposito unico di scorie nucleari a Scanzano Jonico. Il 15 marzo 2011 per decreto del Presidente Della Repubblica Giorgio Napolitano ha ricevuto il titolo di Città.

    Monumenti e luoghi d'interesse

    Architetture religiose
    • Chiesa Madre di Santa Maria della Croce: fu costruita a partire dal 1490 ed il suo interno è stato trasformato alla fine del XVIII secolo. La chiesa, che ha tre portali cinquecenteschi e tre cupole bizantineggianti, conserva all'interno una statua lignea della Madonna con bambino del 1530 e due statue dorate raffiguranti Ferrante d'Aragona e sua moglie, la regina Isabella di Chiaromonte.
    • Chiesa del Purgatorio: con portale cinquecentesco ad arco bugnato. Conserva un San Vincenzo Ferreri della prima metà del settecento, opera di Antonio Sarnelli, ed una Trinità.
    • Chiesa del Convento dei Cappuccini: all'interno vi sono alcune opere attribuite a Pietro Antonio Ferro come la Madonna con bambino ed i Santi Pietro e Francesco.
    • Complesso monastico di Santa Chiara: completato nel 1688, è un imponente edificio nel quale si innalza una torre che domina l'intera città. Al suo interno, oltre ad una Crocifissione di Pietro Antonio Ferro, è di grande pregio un dipinto raffigurante l'Immacolata attribuito a Francesco Solimena, risalente all'incirca al 1730.
    • Complesso monastico di San Domenico: risalente al 1517, fu ristrutturato in forme barocche e completato nel 1760. Conserva dipinti di scuola napoletana, un organo seicentesco ed un altare maggiore con marmi policromi.
    • Convento di San Francesco: fu fondato nel 1614 insieme alla chiesa a due navate e fino alle leggi napoleoniche ebbe grande splendore.
    • Cappella della Madonna dei Mali: chiesa rurale al cui interno vi sono diversi affreschi di Pietro Antonio Ferro risalenti al XVII secolo.
    • Altre chiese e cappelle rurali tra cui la chiesa di San Giovanni Battista, la chiesa di Sant'Antonio (1615), la chiesa dell'Addolorata, la chiesa di Santa Lucia, la cappella della Madonna di Loreto e la cappella di Santa Maria della Consolazione (in contrada La Foresta).


    Altro
    • Castello di Uggiano
    • Piazza Plebiscito
    • Diversi palazzi tra cui Palazzo Centola, Palazzo Lisanti, Palazzo Cantorio, Palazzo Scorpione, Palazzo Caputi, Palazzo Rago.



    Curiosità
    • Lo stemma comunale reca sei F. Il significato è: Fridericus Ferranti Filius Ferrandinam Fabbricare Fecit
    • Il 16 luglio 1895 la ferrandinese Maria Barbella, rinchiusa nel carcere di Sing-Sing, è stata la prima donna condannata alla sedia elettrica negli Stati Uniti d'America. La condanna, però, non fu eseguita in quanto dopo un'ulteriore indagine Maria Barbella fu dichiarata innocente e rilasciata. Per questo motivo Ferrandina dal novembre 2005 è inserita tra le "Città per la vita - Città contro la pena di morte", campagna di sensibilizzazione promossa dalla Comunità di Sant'Egidio.
    • Nella campagna ferrandinese sono state girate alcune riprese del film Cristo si è fermato a Eboli di Francesco Rosi
    • Nel 1998 a Ferrandina sono state girate parte delle riprese del film Del perduto amore con la regia di Michele Placido.
    • Ferrandina è stato luogo delle famose ricerche etnografiche di Ernesto De Martino sul lamento funebre lucano e sui comportamenti magici-religiosi
    • Dal marzo 2005 Ferrandina è un comune OGM Free (contro la coltivazione degli organismi geneticamente modificati).
    • Ferrandina fa parte dell'Associazione Nazionale Città dell'Olio, grazie all'ottima qualità delle olive "Majatica di Ferrandina", ideali sia per la produzione di olio che da mensa.


    Personalità legate a Ferrandina
    • Giuseppe Venita: rivoluzionario lucano
    • Vincenzo Mastronardi: brigante
    • Buonsanti Nicola Lanzillotti: veterinario
    • Emilio Locilento: auto e Internet
    • Filippo Cassola: chimico
    • Domenico Ridola: archeologo, medico, politico
    • Saverio D'Amelio:politico
    • Salvatore Adduce:politico
    • Paolo Pavese: calciatore e allenatore.
    • Donato Santeramo: Presidente Dipartimento di Studi spagnoli e italiani della Queen's University di Kingston
    • Franco Tilena: scrittore e poeta
    • Lorenzo Rago: Medico, I Podestà del Comune di Ferrandina, Proprietario Terriero.
  10. .

    Maratea

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    - Info -

    « Forse in Italia non c'è paesaggio e panorama più superbi. Immaginate decine e decine di chilometri di scogliera frastagliata di grotte, faraglioni, strapiombi e morbide spiagge davanti al più spettacoloso dei mari, ora spalancato e aperto, ora chiuso in rade piccole come darsene. La separa da una catena dolomitica, tutta rocce color carnicino, punteggiata di villaggi semiabbandonati, di castelli diruti e antiche torri saracene, un declivio boscoso rotto da fiumiciattoli e torrenti e sepolto sotto le fronde dei lecci e dei castagni. »
    (Indro Montanelli)

    Maratea (Marathia in dialetto marateota, pronuncia /mara'tìa/) è un comune di 5.207 abitanti della provincia di Potenza. È l'unico comune della Basilicata ad affacciarsi sul Mar Tirreno. Per i suoi pittoreschi paesaggi costieri e montani, e per le peculiarità artistiche e storiche, Maratea è una delle principali mete turistiche della regione, tanto da venire spesso soprannominata la perla del Tirreno. Il 10 dicembre 1990 il presidente della Repubblica Francesco Cossiga ha insignito il comune di Maratea con il titolo onorifico di "Città", titolo che la cittadina già vantava dal 1531 per decreto di Carlo V d'Asburgo.

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    Tramonto invernale sul golfo
    di Policastro visto da Maratea,
    con l'abitato di Fiumicello
    e un tratto della costa in basso.
    Geografia fisica
    Unico comune della provincia ad affacciarsi sul mare, si estende per circa 32 km sul Mar Tirreno. La sua costa, incastonata in una singolare posizione geografica ed ambientale, è variegata di insenature e grotte, scogli e secche. Numerose e caratteristiche le spiagge costiere, di fronte ad una delle quali emerge l'isola di Santo Janni. Degni di attenzione sono i fondali e le 131 grotte marine e terrestri, delle quali alcune hanno restituito fossili e reperti preistorici. Su tutte spicca la Grotta di Marina con stalattiti e stalagmiti. In più, le montagne dell'entroterra, arrivando con i loro costoni direttamente sul mare, creano un forte contrasto visivo di mare e monti, che dà vita a pittoreschi panorami e scorci visivi.


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    Il caratteristico contrasto di mari e monti visto da Marina.
    Si distingue, al largo, l'isola di Santo Janni.

    Geologia e morfologia

    La storia della geologia del territorio di Maratea è iniziata durante l'Anisico e il Miocene inferiore. Esso evidenzia diverse zone, che si sono succedute attraverso episodi di metamorfismo durante l'Appiano; i cui depositi terrigeni più antichi si presentano fortemente tettonizzati. Questa conformazione si è originata tra il Langhiano ed il Tortoniano e ha interessato i depositi accostandoli, sovrapponendoli ed elevandoli sino alla formazione della dorsale carbonatica che caratterizza l'area. I depositi presso la costa sono formati da calcilutiti, calcareniti grigie e brune con marne, e calcari conglomeratici. La dorsale è allungata in direzione appenninica, da nord-ovest a sud-est, delimitata verso il mare e verso l'interno da versanti ripidi che dalla costa si innalzano sino a raggiungere i 1505 metri con il monte Coccovello.

    Orografia

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    Il monte più alto di Maratea,
    il Monte Coccovello

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    Bosco di ogliastri sulla punta omonima
    della costa di Maratea,
    nello sfondo il monte San Biagio,
    con in cima la statua
    del Redentore,
    e l'abitato di Marina.
    La gran parte del territorio di Maratea è costituito da montagne e colline, essendo l'unica zona pianeggiante quella dove sorge la frazione Castrocucco, in prossimità della foce del fiume Noce. I rilievi montuosi della zona nord, compresa tra Fiumicello-Santavenere e Acquafredda, presenta episodi orografici plastici e di alto livello paesaggistico, con i versanti montuosi che calano direttamente sul mare. I rilievi sono costituiti per lo più da calcari dolomitici, e le pareti rocciose presentano caratteristiche variazione cromatiche, passando dal verde boschivo al rosso della nuda roccia calcarea.

    I principali monti di questo sistema sono:
    • Monte Coccovello: alto 1505 m, è il rilievo più alto del territorio. Il monte poggia su una vallata con il monte Cerrita, detta I Pozzi, di paesaggio tipicamente montano. Il monte allunga un versante verso il mare, con delle punte dette monte Spina e Serra del Tuono, che sovrastano Acquafredda.
    • Monte Cerrita: alto 1083 m, detto anche Cerreta o Angiuleddi, è un grande rilievo che distende un fianco lungo tutta la vallata del torrente Fiumicello. Il versante meridionale del monte è spoglio di vegetazione, che si riduce a gariga, mentre quello settentrionale ospita qualche piccolo bosco.

    La parte centrale del territorio, compresa tra la frazione Fiumicello-Santavenere e il Porto e su cui insistono i rioni della valle di Maratea, è caratterizzata da un sistema montuoso a forma di Y, anch'essi costituiti da formazioni di calcare dolomitico.


    I rilievi di questo sistema sono:
    • Monte Crivo: alto 1277 m, si distingue per la sua struttura con tre punte, con quella centrale caratterizzata dalla presenza di una croce votiva in ferro battuto. Ai piedi del monte si apre una faglia che con un fenomeno di sackung crea una lenta e costante frana fa scivolare, nel corso dei secoli, la valle sottostante verso il mare.
    • Monte San Biagio: alto 623 m, è il prolungamento sul mare del sistema montuoso del monte Crivo, con la sua caratteristica conformazione allungata verso il mare è l'episodio montuoso più rilevante del territorio di Maratea. Sebbene non altissimo, la sua posizione, al centro del territorio, rende la sua cima un notevole punto panoramico sulla costa e sull'entroterra. Anticamente detto monte Minerva, sulla sua cima ospita le rovine dell'antica Maratea detta «Castello», la grande statua del Redentore e la basilica del santo da cui prende il nome.
    • Serra Capeddera: alta 1067 m, sovrasta il settentrione della frazione Brefaro.
    • Serra Pollino: alta 1099 m, sulla cima ospita il santuario della Madonna di Trecchina.
    • Monte Maiorino: alto 1003 m, si trova a est di Brefaro. Ha dei versanti molto boscosi.

    La parte più meridionale del territorio, sulla cui costiera si trovano i villaggi di Marina e Castrocucco e nell'entroterra Massa e Brefaro, apre grandi vallate attraversate da torrenti alluvionali. Le formazioni montuose, di grande valore paesaggistico, costituiscono tre piani di visione: la costa rocciosa, con al largo le isolette della Matrella e di Santo Janni, la zona costiera quasi pianeggiante, caratterizzata da un verde boschivo e le pareti rocciose perpendicolari alla costa.


    Solo due gli episodi montuosi notevoli:
    • Monte Rotonda: alto 852 m, si trova tra Massa e Brefaro. La cima del monte ospita un piccolo bosco.
    • Serra di Castrocucco: alta 743 m, ha una caratteristica forma a piramide. Sul lato nord, che ospita per lo più gariga e una solitaria pineta, si posa l'abitato di Marina. Il lato ovest, più boscoso, posa sul mare due promontori: uno ospita un bosco di cedri, l'altro la Torre Caina. Il versante sud ospita, su un costone roccioso, il Castello di Castrocucco. La parte settentrionale del monte si prolunga in piccole vette, che separano la costa di Marina da Massa.


    Idrografia

    Nel territorio di Maratea scorre un solo fiume, il Noce, che sfocia nei pressi della frazione Castrocucco. Molti i torrenti che scorrono tra i monti del territorio, ma solamente quello detto Fiumicello, che sfocia in mare presso l'omonima frazione, non ha carattere stagionale e alluvionale. I più lunghi corsi d'acqua sono di questo tipo sono il canale di Montescuro, che scorre alle falde del Coccovello, e quello del Carròso, che nasce presso Brefaro e sfocia nel Noce. Il reticolo idrografico della zona a nord del monte San Biagio è scarsamente sviluppato in superficie, ma ben presente nel sottosuolo, che nella valle di Maratea dà origine a numerose sorgenti, tra le quali si ricordano quella di Sorgimpiàno, di San Basile, e di Cavalero. La zona a sud presenta invece un più evidente reticolo superficiale, con numerosi torrenti alluvionali che scorrono in profondi valloni verso il mare o verso il Noce.


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    Un esemplare di Primula
    palinuri al giardino botanico
    di Göteborg. A Maratea è presente
    un endemismo, in maniera
    puntiforme, di questo fiore,
    l'unico in Basilicata.
    Flora e Fauna
    « È un paese meraviglioso... magnifico... non c'è nessun altro luogo che io conosca che sia valido in me come questo che vedi. I colori soprattutto, sono colori primordiali »
    (Cesare Pavese e Bianca Garufi, Fuoco Grande)
    La flora spontanea del territorio di Maratea è tipica macchia mediterranea. A nord della costa, presso la frazione Acquafredda, si incontra una folta pineta, anche se recentemente decimata da un incendio. La tipica vegetazione è costituita prevalentemente da lecci; come presso la frazione Marina, dove si trova il bosco de Ilicini, formato da caratteristici lecci in miniatura resi nani dalla salsedine; insieme a esemplari di fillirea, lentisco, cisti, mirto, carrubo, corbezzolo, carpinella e siliquastro. Sui monti si trovano macchie di arbusti sparsi, accompagnati da carrubi, fichi d'India, ulivi, e viti. I versanti dei monti in parte riparati dall'eccessiva illuminazione del Sole ospitano anche boschi fitti, come tra i due nuclei di Maratea, dove si sviluppa un carpineto. In più, a Marina, si trova un endemismo floristico degno di nota: la presenza, sulle rocce di Punta Caina, di una stazione puntiforme (l'unica presente in Basilicata) di Primula di Palinuro (Primula palinuri), un raro e protetto endemismo delle coste tirreniche, il cui fragile areale si presenta estremamente ridotto e puntiforme. Per quanto riguarda la fauna, sull'isola di Santo Janni si registra un altro endemismo, di tipo zoologico, unico: il cosiddetto Drago di Santo Janni, una lucertola bruno-azzurra, che vive confinata sugli anfratti rocciosi dell'isolotto, sottoposta a specifiche tutele. Nel resto del territorio, oltre alle specie comuni, si possono trovare simpatici cuccioli di cinghiali nei boschi e il grande falco pellegrino che svetta nel cielo sopra la costa.

    Storia - Origini del Nome

    Diverse sono le interpretazioni date dagli storici all'origine e al significato del toponimo Marathìa, antico nome che ancora oggi è conservato nel dialetto. Molti di questi hanno concordato che il nome è di chiara derivazione greca, e oggi è quasi universalmente accettata la tesi di Giacomo Racioppi, che vuole il nome derivante dalla parola greca marathus ("finocchio selvatico") e quindi col significato di «terra del finocchio selvatico». Altra tesi, che ha riscosso per un certo periodo un discreto seguito, è quella che il nome sia invece il composto del latino màris e del greco théa, cioè «dea del mare» o «spettacolo del mare», a seconda del significato attribuibile alla seconda parola.

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    Le grotte di Fiumicello
    Preistoria
    Le prime frequentazioni umane attestate sul territorio di Maratea risalgono al Paleolitico Medio, epoca a cui sono stati datati gli insediamenti delle grotte costiere presso la spiaggia della località Fiumicello, dove sono stati rinvenuti strumenti di industria litica e resti di fauna pleistocenica. Altri insediamenti sono attestati in alcune grotte sul litorale costiero compreso tra la frazione Acquafredda e Sapri, e anche in grotte costiere presso Marina di Maratea. Nell'epoca eneolitica il promontorio detto Capo la Timpa, posto a ridosso dell'odierno porto turistico, diventa uno scalo di scambio, coinvolto in traffici con le isole Eolie (che distano da Maratea solo 137 km), come attestato dal ritrovamento di ossidiana nella zona delle frazioni Massa e Brefaro.

    Età Antica

    A partire dal XV-XIV secolo a.C., il promontorio detto Capo la Timpa ospita un insediamento indigeno entro capanne, costruite con un pavimento a battuto steso con ciottoli decorativi e focolare centrale. Questo villaggio, la cui conformazione rientra nei parametri della cosiddetta «cultura appenninica», sopravvive grazie alle relazioni commerciali instauratesi in seguito alle prime navigazione micenee in Italia. Il resto del territorio ospita piccoli insediamenti sparsi. All'avvento della colonizzazione greca, la vita del villaggio su Capo la Timpa si interrompe; per riprendere nel VI secolo a.C. in seguito alla cosiddetta «colonizzazione indigena della costa» operata da popoli di cultura enotria. La vocazione commerciale del villaggio spinge i traffici dalle colonie magno-greche alla Siritide, fino alla Grecia stessa. Si suppone che il villaggio fosse fortificato, ma gli scavi archeologici non hanno confermato inequivocabilmente il dato, così come non hanno ancora svelato l'ubicazione della necropoli corrispondente al sito.

    Età Romana

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    Carlo V concesse a Maratea
    il titolo di Città Regia nel 1531.

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    Il colonnello Alessandro Mandarini.

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    Costabile Carducci, patriota
    capaccese ucciso ad Acquafredda.
    Dopo la conquista romana della Lucania, avvenuta tra il III e il II secolo a.C., il promotorio Capo la Timpa viene abbandonato per sempre. È ancora da chiarire il conseguente contesto topografico e modello di insediamento successivo, ma la ricerca storica e archeologica lascia presumere l'esistenza di un vicus nella zona di Fiumicello-Santavenere, dove nel 1840 furono osservati ruderi di età romana tra cui quelli di un tempio dedicato a Venere che la tradizione popolare vuole all'origine del toponimo, o di una area politico-religiosa sul monte San Biagio, anticamente detto monte Minerva in quanto sito designato dalla tradizione di un tempio dedicato alla dea della sapienza, dove sono stati ritrovati reperti di epoca romana. Il territorio ospita poi altri piccoli nuclei, a cui si affiancano le grandi villae marittimae patrizie della classe agiata romana. È infatti stata ritrovata una villa romana, con annessa pescheria, nella località Secca di Castrocucco, la cui cronologia si estende dal I secolo a.C. al IV secolo d.C.; a cui si accompagna una distante necropoli usata fino all'inizio del Medioevo. Anche in questo periodo continuano i commerci, avendo come scalo l'Isola di Santo Janni, su cui sono state ritrovate strutture per la produzione di garum e nei cui fondali ospita il più grande giacimento di ancore del Mediterraneo, ripescate ed esposte nella mostra perenne di Palazzo De Lieto. Queste testimoniano traffici che si spingono fino alla Spagna e all'Africa.

    Medioevo

    Le invasioni barbariche successive alla caduta dell'Impero Romano d'Occidente e le prime incursioni saracene spingono la popolazione presente sul territorio a rifugiarsi sulla cima del monte San Biagio, dove nasce l'antica Marathìa (nome che fa la prima apparizione in documento del 1079). Questa cittadella, inespugnabile e al sicuro da ogni attacco, riceve le reliquie di San Biagio di Sebaste nell'anno 732, trasportate secondo la tradizione su una nave da parte di uomini armeni. Nell'850 Maratea entra a far parte del Gastaldato di Laino, per poi passare, forse nel 1077, nei domini Normanni. Nell'epoca paleo-cristiana, Maratea ospita numerosi eremiti e asceti che conducono vita contemplativa nelle grotte e sui monti del territorio. Nel 1098 la cittadina viene smembrata dalla diocesi di Policastro e assegnata a quella di Cassano Ionico. Durante il regno di Federico II di Svevia, la suddivisione in Giustizierati toglie Maratea alla Basilicata e la pone, forse per errore, in Calabria. La collocazione territoriale risulta poi corretta nei documenti redatti dalla successiva dominazione angioina. Nel 1278 la cittadina fortificata di Maratea conta circa 1.000 abitanti ed è annoverata tra le principali fortezze della Basilicata nei documenti del provisor castrorum Guiard d'Argeneuil. Nel 1284 Maratea viene coinvolta nella guerra dei Vespri. Rimasta presto l'unica roccaforte angioina della Basilicata, il 26 ottobre dello stesso anno vi viene mandato un capitano in seguito alla conquista di Scalea, da cui partono numerosi attacchi degli aragonesi. Ma Maratea resiste senza mai cedere la piazza ai nemici fino alla fine del conflitto. Nel 1324 la parrocchia del Santuario di San Biagio è l'arcipretura del territorio. Ma quello sulla cima del monte San Biagio non è più l'unico centro del territorio: durante i secoli se n'è sviluppato un altro, alle pendici dello stesso che lo rende invisibile dal mare e al sicuro dagli attacchi Saraceni. Questa nuova Maratea viene soppranominata con il nome di Borgo, per distinguerla dall'antica che, poiché fortificata, sarà detta Castello.

    Quattrocento

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    La Sirena di Romano

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    La Basilica di San Biagio

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    La chiesa matrice

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    La Chiesa dell'Annunziata,
    con di fronte la colonna
    votiva di San Biagio

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    La chiesa dell'Addolorata
    con l'obelisco

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    La chiesa dell'Immacolata.
    Nella cripta ospita l'antica
    chiesa di San Pietro.

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    La chiesa e il convento di Sant'Antonio.

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    La chiesa di San Vito, al limitare
    del bosco de I Carpini.

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    La chiesa del Rosario.

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    Facciata della chiesa
    di San Francesco
    di Paola.

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    Palazzo De Lieto.
    Si distingue
    la terrazza arcata.

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    La «torre» di Palazzo Eredi Picòne.

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    Villa Nitti ad Acquafredda.

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    Rudere di una torre tra le case del Castello.

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    Il castello di Castrocucco.

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    La torre dei Crivi, posta su una
    roccia sopra il mare,
    nei pressi di Acquafredda.

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    La Statua del Redentore.

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    La colonna di San Biagio,
    eretta nel 1758 dalla
    popolazione di Maratea.

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    L'obelisco dell'Addolorata.
    La tradizione non fu mai sottoposta al potere di un feudatario, fa parte delle terre alle dipendenze dirette della corona. Alla città vengono anche riconosciuti numerosi privilegi, il più antico documento noto in tal senso è un diploma datato 20 luglio 1404, in cui re Ladislao I assegna dei privilegi che saranno confermati da Giovanna II d'Angiò il 2 settembre 1414. Nel frattempo il Borgo, cresciuto con la popolazione del Castello, nel 1434 viene elevato a parrocchia assestante da quella di San Biagio. Nel 1440 il Castello viene messo sotto assedio da parte del conte Sanseverino di Lauria, alleato degli Aragonesi che ambivano al trono di Napoli. Ma la fortezza resiste all'attacco, e oltre alla vittoria ottiene il risarcimento dei danni provocati da parte del conte. Anche dopo l'avvento del dominio spagnolo nel Regno di Napoli, i privilegi di Maratea sono confermati dal re Ferdinando I d'Aragona con un documento datato 20 settembre 1444. Nel 1495 alcuni soldati angioini al servizio di Carlo VIII di Francia tentano di saccheggiare Maratea, mettendo di nuovo sotto assedio il Castello. Ma anche stavolta la popolazione ha la meglio, grazie, secondo tradizione, all'aiuto miracoloso di San Biagio che si dice abbia svegliato a schiaffi le sentinelle addormentate. Con un nuovo privilegio, datato 22 novembre 1496, il re Federico I di Napoli concede l'esenzione da dogane e dazi in ogni parte del regno ai marinai di Maratea per i loro commerci.

    Cinquecento e Seicento

    Dopo che nel 1506 il re Ferdinando III aveva dichiarato Maratea «feudo della regia corona», le carenti finanze del Regno di Napoli impongono la vendita delle terre demaniali ai feudatari. Nel 1530 la città viene quindi venduta al conte di Policastro Ettore Pirro Carafa, che però versa alla corona solo 3.000 dei 10.000 ducati accordati. I marateoti ne approfittano quindi per ricomprare la città e i suoi privilegi dal conte per 6.000 ducati. L'imperatore Carlo V d'Asburgo, dopo aver approvato questa risoluzione il 9 marzo 1531, concede a Maratea il titolo di «città regia», e per questo ringraziato dai marateoti con l'aggiunta dell'aquila bicipite, stemma familiare dell'imperatore, allo stemma comunale. Nel frattempo, la crescita esponenziale di Maratea Borgo rispetto a Maratea Castello porta alla formazione di un complesso sistema amministrativo sul territorio: nella prima metà del secolo, attraverso la Statua Universitatis, si sancisce la divisione di poteri tra le due popolazioni di Maratea: agli abitanti del Borgo, ossia la Maratea inferiore, spettano i 5/6 delle risorse fiscali, mentre a quelli del Castello, ossia Maratea superiore, prendono il restante 1/6. Per difendere la costiera del Regno di Napoli dai Saraceni, il viceré Pedro da Toledo ordina la costruzione di oltre trecento torri anti-corsare, di cui sei, costruite tra il 1566 e il 1595, sono dislocate sul litorale di Maratea. Il 21 maggio 1626 il Borgo viene attaccato da una banda di centosessanta banditi, che mettono in assedio le abitazioni delle famiglie più facoltose di Maratea. Dopo tre ore di battaglia urbana, in cui i banditi provocano la morte del cittadino Diego Mari, ucciso a colpi di pugnale, i malviventi vengono messi in fuga dai colpi di cannone che vengono lanciati dal Castello.

    « in mezzo di Essi si diresse il Cannone, che si sparò per la seconda volta; ed oh portento! La palla del Cannone, diede in un grosso sasso, e lo stesso nel frangersi, ne infranse degli altri; e si venne a formare come una mitraglia, di tanta violenza, che fece de' Banditi un gran macello; de' quali i superstiti sempreppiù fuggendo, siccome camin facevano, così si andavano spogliando di ogni senso di Umanità. Sulle prime scannarono que' loro compagni, che non si fidavano di proseguire la marcia, perché feriti. Indi da tale barbarie, accaniti tra di loro, ne' luoghi più deserti, e cavernosi si trucidarono vicendevolmente. »
    (Carmine Iannini, Di S. Biase e di Maratea. Discorso Istorico. Libri II., Napoli, Istituto Grafico Italiano, 1985.)

    Durante la rovinosa fuga, i quattro banditi sopravvissuti ai colpi del Castello rapiscono tre cittadini, che però vengono rilasciati incolumi dopo pochi giorni.

    Settecento

    Il XVIII secolo è un'epoca molto fortunata per Maratea. Trovandosi a capo di uno dei quattro Ripartimenti regionali all'inizio della dominazione borbonica, nel 1734 viene aperto il primo vero ospedale, a opera del benefattore Giovanni De Lieto. Sebbene la sede del Terzo Ripartimento venga spostata nel 1736 nella vicina Lauria, la continua crescita economica di Maratea la porta a diventare uno dei paesi più agiati della Basilicata. Dopo la fioritura di nuovi piccoli villaggi sul territorio, come Massa, Acquafredda, Cersuta e Porto, resa possibile anche dal trattato della Porta Ottomana del 1740, la cittadina commercia ed esporta vari generi in ogni parte del regno.

    Il viaggiatore Lorenzo Giustiniani, sulla fine del secolo, descrive le attività produttive di Maratea nel suo Dizionario Geografico Ragionato del Regno di Napoli, edito nel 1802:

    « Gli abitanti ascendono al numero di circa 3800 addetti all'agricoltura, alla pastorizia, facendosi de' buoni formaggi, ed hanno ancora l'industria de' bachi da seta, e di fare calze di cotone, e di filo, che vendono ad altri paesi della provincia. Le donne son molto dedite alla fatica si' della campagna; che a quella del trasporto di varj generi. In Napoli quelli, che hanno le botteghe di formaggio per lo più sono di Maratea, come anche i pizzicagnoli. »
    (Lorenzo Giustiniani, Dizionario Geografico Ragionato del Regno di Napoli, Napoli 1802.)


    Riguardo alle produzioni e ai commerci, Giustiniani specifica:

    « Il territorio di questa città non è molto fertile, perché assai petroso, nulla di meno fa del buon vino, specialmente in alcuni luoghi, ed ogni altra produzione ancora per forza d'industria. È abbondante di acqua, e vi sono molti molini, gualchiere, che recano del guadagno a quella popolazione. Il massimo prodotto è quello dell'olio. Il detto territorio abbonda di mortelle, le quali ridotte in polvere vendono altrove per la concia de' cuoj. Gli ortaggi vi si coltivano con successo e similmente gli agrumi, e i fichi d'India, che ne' mesi estivi serve per alimento della povera gente, come anche le carrube. Vi è la caccia di lepri, volpi, lupi, e di più specie di pennuti, e il mare dà abbondante pesca. »
    (Lorenzo Giustiniani, Dizionario Geografico Ragionato del Regno di Napoli, Napoli 1802.)

    Ma la ricchezza di Maratea sta principalmente nel suo porto, o meglio dagli approdi sparsi sulla costa, che diviene il naturale sbocco dei traffici della cittadina e delle zone circostanti. Il viaggiatore Giuseppe Alfano scrive infatti di Maratea:

    « Ella è molto ricca, e frequentata per cagione del traffico, giacché avendo un piccol Porto commodo per legni minuti nel mar Tirreno, da cui è un miglio lontana fa sì che la Basilicata in buona parte da quivi incamina le sue merci per Napoli, onde molti i quei Cittadini, applicando alla Negoziazione sono divenuti assai ricchi. »
    (Giuseppe Maria Alfano, Istorica descrizione del Regno di Napoli, Napoli, 1797.)

    Dopo una dura protesta della popolazione, nel 1792, per il controllo dell'amministrazione locale, nel 1799 Maratea viene coinvolta nei moti che portarono alla costituzione della Repubblica Napoletana. L'11 febbraio dello stesso anno i cittadini Biase Ginnari, Pietro Maria Aloise e Gaetano Siciliani recingono a colpi d'ascia l'albero della libertà innalzato dai repubblicani capeggiati da don Giuseppe d'Alitti, Gennaro Rascio, Angelo d'Albi e il frate Giambattista Basile. Durante il breve governo repubblicano, il comune, ancora diviso in Moratice sopra e Moratice sotto, rientrò nell'ordinamento amministrativo del dipartimento del Crati e, a livello più strettamente locale, del cantone di Lauria.

    Assedio francese

    Nell'agosto del 1806 l'esercito francese inizia l'invasione del Regno di Napoli. Dopo l'insurrezione calabrese, la vicina cittadina di Lauria, ribellatasi ai francesi, viene messa a ferro e a fuoco. Nominato governatore di Maratea, Alessandro Mandarini, riceve ordine da re Ferdinando IV di Borbone di organizzare una resistenza contro l'avanzata dei francesi. Dopo aver riunito 600 irregolari armati, rimane a difesa del Castello, e per diversi giorni riesce a resistere all'assedio condotto da parte del generale Jean Maximilien Lamarque, al comando di 4500 uomini. Costretto infine ad accettare una onorevole capitolazione, Mandarini il 10 dicembre consegna la fortezza, capendo che in caso di sconfitta le truppe napoleoniche avrebbero distrutto l'intera città e fatto strage della popolazione. I francesi, accettate le condizioni di Mandarini di non nuocere alla popolazione, demoliscono parte delle mura e i torrioni del Castello, per evitare nuove insurrezioni. Questo evento accelera la spopolazione dell'antico nucleo di Maratea, la cui municipalità viene soppressa nel 1808, per essere accorpata a quella di Maratea inferiore, dopo quasi trecento anni di doppia municipalità sul territorio.

    Ottocento

    Anche nella prima parte del XIX secolo, e dopo la Restaurazione, perdura la condizione di discreto benessere della cittadina, che è per breve periodo a capo di un circondario regionale. Maratea produce ed esporta lino, cotone e lana, usata per fare calze e tele; conta ancora diversi mulini, e può vantare ottimi calderai che lavorano il rame spingendosi nel resto d'Italia e in Europa. Apertasi la stagione delle vendite carbonare, si consuma il 19 luglio 1820 quella organizzata dal cittadino Nicola Ginnari, capo della vendita carbonara locale, in cui alla presenza della parroco Giuseppe D’Alitti, si giura fedeltà alla Costituzione Nazionale. Maratea rimane però estranea ai successivi moti rivoluzionari del Cilento, sebbene sia costretta ad assistere alla ingiustificata fucilazione del frate cappuccino Carlo Da Celle, giustiziato di fronte al suo convento dalla milizia borbonica il 12 agosto 1828, perché sospettato di essere un cospiratore. Moltissimi sono i cittadini di Maratea iscritti nei registri del «rei di stato» per i moti rivoluzionari del 1848, ma i liberali marateoti vedono naufragare le loro aspirazioni sulla spiaggia di Acquafredda, dove il 4 luglio dello stesso anno il patriota Costabile Carducci viene catturato da alcuni sicari borbonici. La notte seguente Carducci viene portato in catene sui monti sopra la frazione e lì assassinato a tradimento con un colpo di pistola in testa. Nel terremoto del 16 dicembre 1857 la città conta una sola vittima, mentre sono danneggiate molte abitazioni e la Chiesa Madre di Santa Maria Maggiore. Nel 1860 anche a Maratea si costituisce un comitato insurrezionale per l'azione lucana per l'unità d'Italia; organizzato, tra gli altri, dal cittadino Raffaele Ginnari. Il 3 settembre dello stesso anno Garibaldi attraversa in barca la costa della cittadina, diretto a Sapri, dopo aver sostato, ospite dei baroni Labanchi, nel Palazzo Baronale alla Secca di Castroucco. Nella battaglia del Volturno perde la vita il cittadino marateota Carlo Mazzei. Al contrario del resto della regione, Maratea non viene mai coinvolta nel fenomeno del brigantaggio. Nella cittadina non è ricordata alcuna rivolta, probabilmente a causa dell'adozione di un moderno sistema di distribuzione delle terre, frammentario e completamente privo di latifondi. Nei primi anni del Regno d'Italia l'economia di Maratea è molto diversa dal resto della Basilicata, che per lo più vive nella miseria. La cittadina sopravvive dignitosamente, e anzi può vantare una Società Operaia di Mutuo Soccorso, fondata il 21 agosto 1881, nonché pochi ma significati commerci marittimi. Il 30 luglio 1894 per la prima volta il treno attraversa il territorio di Maratea.

    Novecento

    All'inizio del XX secolo anche i cittadini di Maratea sono costretti a sostenersi grazie all'emigrazione. Principali mete per i marateoti sono il Venezuela, la Colombia, il Brasile e gli Stati Uniti d'America. Mantenuta con le rimesse degli esuli, nel 1902 Maratea si dota dell'acquedotto; poi, nel 1921, del primo impianto elettrico pubblico; e nel 1929 viene aperta al traffico la SS 18 che attraversa la costa. Durante la seconda guerra mondiale, la sera del 15 agosto 1943 Maratea viene bombardata da un aereo americano con 17 bombe. Queste colpiscono prevalentemente la valle, e non ci sono feriti. L'8 settembre dello stesso anno Maratea viene occupata dagli Alleati. Sebbene i primi tentativi di pubblicizzare la città come stazione balneare risalgano a prima delle guerre mondiali, le bellezze di Maratea acquistano grande visibilità su campo nazionale solo dopo il 1953, quando l'industriale Stefano Rivetti di Val Cervo installa uno stabilimento tessile e una azienda agricola, che riescono a frenare il flusso migratorio della popolazione. Rivetti costruisce poi un hotel di lusso che avvia l'attività turistica. In questo periodo si sviluppa anche il villaggio di Fiumicello-Santavenere, che si unisce a Marina, Brefaro e Castrocucco, formatisi nel secolo precedente. Nel 1962 viene costruito il porto turistico. Nel 1965 Rivetti dona alla popolazione di Maratea, con cui aveva un rapporto non sempre felice, una colossale statua del Cristo Redentore, scolpita dallo scultore Bruno Innocenti. Ma tra il 1967 e il 1973 le industrie di Rivetti vanno in bancarotta, e da allora l'economia di Maratea si imposta principalmente sul turismo. Dopo la lunga ascesa di Maratea nel panorama delle località turistiche italiane, il 21 marzo 1982 la città è colpita da un violento terremoto, che danneggia molte abitazioni e alcune chiese, poi restaurate, e il 12 gennaio 1987 il porto viene quasi completamente distrutto da una eccezionale mareggiata.

    Monumenti e luoghi d'interesse


    Per le sue numerose chiese, cappelle e monasteri, Maratea è detta anche la città delle 44 chiese. Costruite in epoche e stili diversi, molte di esse rappresentano un notevole patrimonio artistico-religioso.

    Queste sono:
    • Basilica Pontificia di San Biagio, santo patrono della città
    • Chiesa di Santa Maria Maggiore, chiesa parrocchiale del Borgo di Maratea
    • Chiesa di San Vito
    • Chiesa dell'Annunziata
    • Chiesa dell'Addolorata
    • Chiesa dell'Immacolata, nella cripta ospita l'antica chiesa di San Pietro
    • Chiesa di Sant'Anna
    • Chiesa del Rosario
    • Chiesa di Sant'Antonio
    • Chiesa di San Francesco di Paola
    • Eremo della Madonna degli Ulivi
    • Chiesa di Maria Santissima Immacolata, chiesa patronale della frazione Acquafredda
    • Chiesa della Madonna Addolorata, chiesa patronale della frazione Cersuta
    • Chiesa della Madonna del Porto Salvo, chiesa patronale della frazione Porto
    • Chiesa della Madonna del Carmine, chiesa patronale della frazione Massa


    Statua del Redentore
    Si trova sulla vetta più alta del monte San Biagio, sovrstante il centro storico di Maratea. È stata completata nel 1965, con un impasto di cemento misto a marmo di Carrara, da Bruno Innocenti, scultore fiorentino, su idea di Stefano Rivetti. Con i suoi 22 metri di altezza circa, è una delle sculture più alte al mondo, nonché il più famoso monumento di Maratea. Raffigura il Cristo Redentore, dopo la Resurrezione, in una iconografia molto distante da quella tradizionale. In più, un particolare effetto ottico fa sì che osservandola da lontano pare guardare il mare, mentre invece ha lo sguardo rivolto verso i monti della Lucania.


    Monumenti minori
    • Colonna di San Biagio
    • Obelisco dell'Addolorata
    • Croce Commemorativa


    Residenze nobiliari
    • Palazzo De Lieto
    • La «torre» di Palazzo Eredi Picòne
    • Villa Nitti ad Acquafredda
    • Palazzo Calderano
    • Palazzo Eredi Picone
    • Palazzo Marini-D'Armenia
    • Palazzo baronale Labanchi
    • Villa Nitti
    • Villa comunale Casimiro Gennari
    • Castello di Castrocucco


    Mura, torri e porte del Castello
    L'antica Maratea, posta sulla cima del monte San Biagio, è soprannominata dai marateoti Castello perché era un tempo fortificata con mura, bastioni e torri. Oggi questi elementi non sono più ben distinguibili nell'ammasso di rovine che costituisce il sito, ma sono ancora presenti resti di alcune di queste strutture, di cui fu ordinata la distruzione dopo l'assedio napoleonico del 1806. Purtroppo nulla rimane delle due porte d'accesso alla cittadina, mentre i tratti delle antiche mura ancora esistenti, in parte restaurati, non sono ancora stati valorizzati per fini turistici. Di fronte alla basilica di S. Biagio, sono presenti due torri diroccate, originariamente poste a guardia di una delle due porte. Un'altra struttura simile si può scorgere nella parte alta dell'antico nucleo urbano, mentre nei pressi dell'attuale asse viario si vede chiaramente il rudere di una torre quadrangolare con una grande feritoia sul lato esterno.

    Torri Costiere
    • Torre dei Crivi
    • Torre di Acquafredda
    • Torre Apprezzami l'Asino
    • Torre Santavenere
    • Torre di Filocaio
    • Torre Caina


    Siti Archeologici
    Maratea ospita numerosi siti di interesse archeologico. Il promontorio detto Capo la Timpa è stato a lungo oggetto di ricerche archeologiche, che hanno riportato alla luce un insediamento indigeno in capanne che visse, a più riprese, dal XV secolo a.C. fino al III secolo a.C. I rinvenimenti del periodo romano si concentrano principalmente intorno all'isola di Santo Janni, dove è stato scoperto il più grande giacimento del Mediterraneo di ancore e anfore di questo periodo. Altro sito dello stesso periodo storico è quello presso la Secca di Castrocucco, dove è stata rinvenuta una villa marittima romama. Per la storia medioevale i protagonisti sono il sito del Castello e il Castello di Castrocucco, entrambi siti purtroppo non ancora oggetto di ricerche sistematiche. Degne di attenzione sono anche le sei torri costiere presenti sul territorio, di cui tre restaurate.

    Turismo
    Le bellezze artistiche e naturali e l'ampia varietà delle proposte culturali, le infrastrutture alberghiere, spesso con animazione, di cui è dotata, rendono Maratea una meta turistica attraente ed apprezzata. Se i primi tentativi di lanciare la città nel campo turistico risalgono ai primi del secolo, solo a partire dalla fine degli anni cinquanta del XX secolo, grazie all'opera di Stefano Rivetti di Val Cervo, Maratea è diventata una delle principali mete turistiche della Basilicata, sviluppando una grande considerazione nel panorama nazionale. In campo internazionale, il Sunday Times nel 2003 la indicò come una delle «dieci perle nascoste d'Europa»; mentre nel 2006 il Financial Times la definì più semplicemente «una gemma». L'attrattiva si concentra principalmente sulla balneazione, ma negli ultimi anni Maratea è stata capace di attrarre turisti anche grazie ai suoi luoghi di interesse artistico. Praticamente inesistente però è il turismo legato ai beni storici, di cui il territorio è molto ricco.


    Eventi

    Maratea ospita numerose manifestazioni culturali, che prendono luogo principalmente nella stagione estiva o nelle sue vicinanze. A partire dal 2011, l'insieme degli eventi estivi viene riassunto nel cartellone del «Maratea Scena», il festival di eventi più lungo d'Italia, coordinato da un direttore artistico nominato dal municipio. Gli eventi vertono per lo più nell'ambito culturale, come rassegne letterarie, musicali, teatrali e cinematografiche, ma vengono programmati anche seminari e convegni di studi e manifestazioni organizzate che mirano alla promozione e alla scoperta del patrimonio naturalistico della cittadina.

    In ordine di anzianità, le principali manifestazioni sono:
    • Marajazz: festival internazionale di musica jazz nato nel 1998 che prende luogo tra Maratea e Potenza. Tra i numerosi artisti internazionali, nel 2001 vide la partecipazione straordinaria di Pat Metheny.
    • Phonetica Jazz Festival: festival organizzato dal 2008 dall'Associazione Culturale Phonetica con la direzione artistica del musicista barese Aldo Bagnoni. Ricerca nel jazz contemporaneo, della multimedialità e della interdisciplinarietà, che ha ospitato concerti e produzioni originali con solisti di primo piano tra cui Michel Godard, Furio Di Castri, Achille Succi, Maria Pia De Vito, Andrea Centazzo, Cristina Zavalloni, Marco Sannini, Antonello Salis, Stefano Pastor, Boris Savoldelli.
    • Maratea International Film Festival: dal 2009 porta a Maratea importanti personalità del mondo del cinema e dello spettacolo in una tre giorni di rassegna cinematografica nazionale ed estera.
    • Maratea Outdoor Festival: dal 2010 offre dieci giorni di manifestazioni naturalistiche tese a far scoprire e valorizzare la natura del terriotorio di Maratea.



    Personalità legate a Maratea
    • Giovanni Battista Labanchi (1677-1749), vescovo della Chiesa cattolica.
    • Francesco Labanchi (1720-1770), ambasciatore e ammiraglio della marina del Regno di Napoli.
    • Onofrio Maria Ginnari (1730-1804), vescovo della Chiesa cattolica.
    • Alessandro Mandarini (1762-1820), colonnello e patriota del Regno di Napoli.
    • Raffaele Ginnari (1799-1865), partriota del movimento insurrezionale lucano.
    • Ferdinando Ginnari (1801-?), partriota del movimento insurrezionale lucano
    • Costabile Carducci (1804-1848), patriota risorgimentale.
    • Casimiro Gennari (1839-1914), cardinale della Chiesa cattolica.
    • Francesco Saverio Nitti (1868-1953), statista e meridionalista.
    • Angelo Brando (1878-1955), pittore.
    • Bruno Innocenti (1906-1986), scultore.
    • Stefano Rivetti (1914-1988), industriale.
    • Giorgio Bassani (1916-2000), scrittore.
    • Giuseppe Reale (1918-2010), intellettuale e politico.
    • Francesco Sisinni (1934), docente e politico.
    • Max Neuhaus (1939-2009), musicista.


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    La valle di Maratea



    Edited by PatriziaTeresa - 17/10/2016, 15:35
  11. .

    Spinoso

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    - Info -

    Spinoso è un comune italiano di 1.617 abitanti in provincia di Potenza.

    Geografia

    Il paese è situato in posizione collinare ai piedi del monte Raparo, sulla sponda sud del lago di Pietra del Pertusillo.

    Storia

    Si suppone che il paese, anticamente, era chiamato Carro Nuovo ed era situato nell'attuale Tempagnata. Una leggenda narra che Carro Nuovo fu edificato da Francois Troiano, compagno di Enea. Un'altra leggenda fa riferimento a questo paesino come tanto ospitale, per l'aria fresca, ma anche molto pericoloso per la presenza di molti serpenti, i quali, si dice, divorassero addirittura i bambini. Sempre secondo la leggenda, questo fu il motivo per cui gli abitanti lasciarono Carro Nuovo e migrando verso Alifi. Stando alla leggenda, successivamente Carro Nuovo fu nuovamente abitato da alcuni ebrei, tra cui Ibacco, Ismele, Racaele e Faro. Ma ben presto capirono il motivo per cui il paese fosse in stato di abbandono. Non molto lontano da Carro Nuovo vi era una monticello, chiamato Lo Spenuso, oggi chiamato San Laverio molto più agevole e con scarsa presenza di serpenti ma soprattutto vicino alle proprietà in Tempagnata; e fu qui, che si trasferirono i neo abitanti, dando vita a Spinoso.

    Origini del nome

    Il nome "Spinoso" deriva dal latino Spina, "aculeo" e dal suffisso -osus, utilizzato per indicare abbondanza. Quindi, etimologicamente, il nome indica un luogo pieno di spine,in abbondanza.Inoltre, nel catalogo dei baroni, il comune è indicato come Spinosa, col significato di Terra piena di spine.



    Palazzi nobiliari
    • Palazzo Romano, Via Bardine
    • Palazzo Caputo, Piazza San Lorenzo
    • Palazzo Delfino, Via dei Geni
    • Palazzo Ducatelli, Via Bardine
    • Palazzo delle Colonne, Via Bardine
    • Palazzo Falotico, Via Bardine
    • Palazzo Franco, Via Bardine
    • Palazzo Pesce, Via Bardine
    • Palazzo Falotico, Via Bardine
    • Palazzo Magliocchini, Via E. Pimentel
    • Palazzuolo Romano, Piazza San Lorenzo
    • Palazzo Baronile-Minutolo, Via Dei Geni


    Luoghi di culto

    Chiese

    • Chiesa Madre "Santa Maria Assunta", Via Guglielmo Marconi
    • Chiesa di San Rocco del Popolo, Via San Rocco
    • Chiesa di San Rocco dei Nobili, Via E. Pimentel


    Cappelle
    • Cappella della Madonna di Novi Velia, Piazza San Lorenzo
    • Cappella di San Michele, Piazza Plebiscito
    • Cappella della Maddalena, situata presso il cimitero di Spinoso


    Eventi
    • Molti eventi del posto vengono organizzati con l'aiuto della Pro Loco di Spinoso.

    Curiosità
    • A Spinoso sono state girate alcune scene del film Basilicata coast to coast.

    Feste patronali
    • Festa patronale in onore di Maria Maddalena: È uno degli eventi religiosi che si tiene il 21-22 luglio ogni anno.
    • Festa patronale in onore di San Rocco: La festa ha luogo il 17-18 agosto ogni anno.
    • Festa in onore di San Giuseppe: Si celebra annualmente, il 19 marzo, con i fuochi rionali.
    • Festa in onore di Santa Maria dei Termini: Si celebra ogni terza domenica di Settembre.
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    Senise

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    - Info -

    Senise è un comune di 7.279 abitanti in provincia di Potenza, ottavo per numero di abitanti nella provincia e quindicesimo della Basilicata, che ne fanno il centro più importante e di riferimento in tutta la zona della Valle del Sinni - Pollino.

    Geografia

    Il centro abitato dista 121 chilometri da Potenza e il territorio comunale risulta compreso tra i 171 e i 651 metri sul livello del mare con un'escursione altimetrica complessiva pari a 480 metri.

    Storia

    Una vecchia tradizione narra che il paese era posto più in basso, verso la confluenza del Serrapotamo col Sinni, ma per la mortifera malaria fu abbandonato e fabbricato là dove ora si trova. La tradizione avrebbe un fondamento nel significato del toponimo Senise, che vorrebbe dire luogo del Sinni e non già colonia di Siena. La gente del luogo, favoleggia che un cavalier di Siena, un Senese, andando alle Crociate, avrebbe fondato il paese omonimo. E siccome Siena, fondata dai figli di Remo, ha per emblema una lupa che allatta un bambino, anche Senise volle assumer questo, ma la critica, a base di documenti, ha dimostrato che Senise è anteriore alle Crociate.Lo stemma si ammira in un libro del censimento del 1753 (Catasto generale della Terra di Senise in Basilicata), importante documento conservato in quell'Archivio Municipale. La fondazione dell'attuale centro abitato di Senise è da farsi risalire al periodo normanno quando fu edificato un primitivo castello, dipendente dalla contea di Chiaromonte, parte di un complesso sistema difensivo creato a difesa della valle sottostante. Intorno a tale baluardo difensivo andò a costituirsi il primo nucleo abitato.Con il tempo e soprattutto dopo l'edificazione del Convento Francescano (fine XIII secolo) ed il trasferimento del castello in posizione più elevata, il tessuto urbano si espanderà fino ad occupare l'intera collina a forma di triangolo, definita a valle del torrente Serrapotamo, ed ai lati da due profondi valloni che costituiranno una vera e propria difesa naturale. All'interno di tale triangolo, successivamente chiuso da cinta muraria e dominato dalle emergenze del castello, dal convento (che rappresenterà per secoli il punto di riferimento religioso e culturale della comunità) e dalle chiese, il tessuto edificato si svilupperà assecondando la morfologia del suolo, cioè con gli isolati disposti a terrazze collegate da una fitta trama di percorsi ortogonalmente alle curve di livello stesse.Sostanzialmente, dalla metà del 1500 alla fine del 1800, l'impianto urbanistico di Senise rimarrà pressoché inalterato, tutto compreso nella cerchia delle mura, registrandosi semplicemente una crescita su sé stesso del centro urbano, con operazioni di sostituzioni edilizia o di accorpamento di più edifici, per la realizzazione, a partire dal XVIII secolo, dei palazzi nobiliari-signorili della borghesia agraria nata dal disfacimento e dall'abolizione dei privilegi feudali.
    Quindi per tutto il XIX secolo e parte del XX secolo l'immagine urbana risulterà caratterizzata, oltre che dalla mole del castello e del convento francescano, simboli di un potere laico e religioso ormai in decadenza, da un consistente numero di edifici signorili contornati da una edilizia minore, in qualche misura legata al palazzo signorile stesso, che rifletteranno in maniera evidente i rapporti gerarchici di natura socio-economica esistenti all'interno della comunità senisese.Organizzazione socio-economica che ritroviamo anche nel territorio agricolo, dove a fronte di un certo numero di masserie, che assumeranno il ruolo, mantenutosi costante fino a qualche decennio fa, di vere e proprie cellule base dell'organizzazione sociale ed economica dello spazio agricolo, si ritrova un'edilizia povera costituita da edifici ad un piano realizzati con blocchi d'argilla e paglia (ricoveri giornalieri dei contadini), diffusi soprattutto nelle aree ex demaniali poi quotizzate.In sintesi, quindi, fino ai primi del '900, il nucleo urbano di Senise sarà il risultato di stratificazioni secolari testimoniate, non da emergenze architettoniche di eccezionale valore, bensì da un tessuto minuto compatto, ricco di soluzioni tipologiche particolari, di tecniche costruttive e di diffusi elementi architettonici, in parte ancora evidenti all'interno di quello che oggi definiamo centro storico.


    Monumenti e luoghi d'interesse
    • Castello medievale
    • Chiesa di San Francesco
    • Casa di Sant'Andrea Avellino
    • Palazzo Crocco
    • Palazzo Donnaperna
    • Palazzo Sole
    • Palazzo Marcone
    • Palazzo Barletta


    Aree naturali
    • Diga di Monte Cotugno

    Eventi
    • Festa di San Rocco (annuale 16 agosto)
    • U Strittul ru Zafaran (dal 7 al 10 agosto, la prima edizione fu svolta nel 2003)
    • Il 7 dicembre 2009 si è svolta la celebrazioni dei 150 anni dalla morte del poeta Nicola Sole, durante la quale è stato dato il premio denominato appunto "Premio Nicola Sole" al famoso attore Claudio Santamaria (originario del luogo) invitato a Senise appositamente per questa prima edizione. Durante la cerimonia, Claudio ha risposto a diverse domande di un'intervista e, dopo aver guardato, insieme ad un pubblico preso e divertito, degli spezzoni di alcuni suoi film più delle parodie di alcune pubblicità registrate da lui stesso con alcuni amici, ha cantato, accompagnando il tutto con una chitarra, delle canzoni del celeberrimo cantautore Rino Gaetano, da lui interpretato nella miniserie televisiva andata in onda su Rai1 l'11 e il 12 novembre 2007 "Rino Gaetano - Ma il cielo è sempre più blu".


    Personalità legate a Senise
    • Girolamo Borgia (Senise, 1475 - Napoli, 1550), umanista e storico, autore delle Historiae de bellis italicis.
    • Nicola Sole (Senise, 1833 - Senise, 1901) , politico e senatore del Regno d'Italia nella XVII legislatura
    • Nicola Sole(Senise, 1821 - Senise, 1859), poeta coinvolto nel processo Maffei
    • Silvana Arbia, è stata pretore prima a Venezia, poi a Roma e Giudice alla Corte d’Appello di Milano. Oggi è a capo della Cancelleria della Corte Penale internazionale dell’Aia
    • Claudio Santamaria, attore
    • Giovanni(Joe) Capalbo, attore
    • Maddalena Ferrara, attrice e modella.
    • Aquilante Persiani, patriota, garibaldino, nel 1860 guidò gli insorti lucani a Caserta
    • Mario Persiani, magistrato, sostituto Procuratore della Repubblica a Firenze, poi presidente di sezione in Corte di Cassazione.
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    Savoia di Lucania

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    - Info -

    Savoia di Lucania è un comune italiano di 1.175 abitanti della provincia di Potenza in Basilicata.

    Storia

    Il nome originario del comune Salvia deriva per alcuni dal latino Saulia che significa "luogo impiantato di salici", per altri da Salvia "pianta aromatica" che tutt'ora cresce abbondante e spontanea nelle campagne circostanti. Durante il Regno delle Due Sicilie ha fatto parte amministrativamente del circondario di Caggiano, appartenente al Distretto di Sala del Principato Citra, dal 1811 al 1844. Dal 1844, fino all'annessione al Regno di Sardegna, ha fatto parte del circondario di Vietri di Potenza, appartenente al Distretto di Potenza della Provincia di Basilicata. Il nome fu mutato in Savoia come punizione per il fatto che un uomo originario del paese, Giovanni Passannante, esasperato dalle condizioni di degrado instauratesi in seguito all'Unità d'Italia guidata dai Savoia, aveva attentato, il 17 novembre 1878, alla vita di re Umberto I (che rimase solo leggermente ferito), quel giorno in visita a Napoli. Intorno al 2007 si è sviluppato un movimento, concretizzatosi nel comitato "pro-Salvia", favorevole al ritorno del comune al nome originario, cui si oppone quello "pro-Savoia", appoggiato dall'Unione Monarchica Italiana, favorevole al mantenimento del nome attuale.

    Luoghi d'interesse
    • Chiesa Madre di san Nicola di Bari
    • Chiesa della Madonna del Latte
    • Chiesa della Madonna Annunziata
    • Chiesa di san Rocco
    • Monumento di san Rocco sul monte Serra
    • Castello medievale
    • Municipio
    • Palazzi baronali e signorili.


    Feste patronali
    • 16 maggio: processione di san Rocco
    • Pentecoste: festa in onore della Madonna del Latte
    • giugno: festa in onore del Corpus Domini
    • 13 agosto: santa messa in onore del santo protettore al monte costa la serra ai piedi dell'imponente statua di San Rocco
    • 15 agosto: festa in onore della Madonna Assunta in Cielo
    • 16 agosto: festa in onore di san Rocco, patrono del Comune
    • 1º settembre: festa in onore della Madonna di Viggiano
    • 16 dicembre: processione di san Rocco



    Persone legate a Savoia di Lucania
    • Giovanni Passannante, anarchico
    • Michele Gerardo Pasquarelli, medico e antropologo
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    Satriano di Lucania

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    - Fonte -

    Satriano di Lucania è un comune italiano di 2.422 abitanti della provincia di Potenza in Basilicata. Fino al 1887 si chiamava Pietrafesa.

    Clima

    La stazione meteorologica più vicina è quella di Picerno. Secondo i dati medi del trentennio 1961-1990, la temperatura media del mese più freddo, gennaio, si attesta a +3,5 °C, mentre quella del mese più caldo, agosto, è di +21,9 °C. Le precipitazioni medie annue si aggirano sui 650 mm, distribuite mediamente in 90 giorni, con un picco tra l'autunno e l'inverno ed un minimo estivo.

    Le origini del nome

    Il nome Pietrafesa deriva probabilmente dalle caratteristiche geomorfologiche del luogo su cui sorge. Fu dominio della famiglia Pietrafesa che ne assunse propriamente il nome e lo rese autonomo dalla contea di Satrianum la quale, in seguito e per ordine della regina Giovanna fu attaccata e distrutta.

    Storia

    In epoca medievale era chiamato Petrafixa, divenne in seguito Pietrafesa. Fu dominio della famiglia Pietrafesa che ne assunse il nome e lo rese autonomo dalla contea di Satriano. Nel 1268 partecipò alla rivolta ghibellina contro gli Angioini e nel 1420 diede rifugio agli abitanti della distrutta Satriano.
    Citata in fonti medievali già nel IX secolo, fu edificata su una collina (mt.950 s.l.m.) in posizione strategica da cui si controllava il valico di Brienza e l'antica via Herculea. Nel 1268 partecipò alla congiura dei baroni. Distrutta dal Sanseverino venne ricostruita da Carlo D’Angiò, divenne possesso di Giovanni de Anches e poi degli Sforza e fu definitivamente distrutta nel 1420 per ordine di Giovanna II. I ruderi attualmente visibili comprendono, oltre ciò che rimane dell’ abitato, la torre quadrata (del XII sec) e i resti della Cattedrale di S. Stefano.


    Scavi archeologici

    Sul versante sud-occidentale della collina, è stato riscontrato nel 1987/1988, la presenza di un luogo di culto databile tra il IV e la fine del III secolo a.C. Gli scavi hanno messo in luce un tempietto a pianta quadrangolare L’edificio presenta tracce di una sala da banchetto, un recinto per cerimonie di culto e un portico.

    Leggenda

    Sulla distruzione della città la leggenda narra che la regina di Napoli, Giovanna II, fece condurre da Terlizzi, una giovane dama di compagnia scortata da milizie del Regno. Quando il corteo attraversò Satrianum, la nobile donna venne rapita a causa della sua bellezza e Giovanna II, dopo l'affronto subito, ordinò una tremenda vendetta. L'abitato, infatti, venne incendiato risparmiando solo la torre normanna ed alcuni muri di edifici.

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    Facciata della chiesa Madre

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    Campanile della chiesa
    della Madonna della Rocca.

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    Palazzo Loreti, sede del municipio

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    Monumento ai caduti
    Monumenti e luoghi di interesse
    • Rovine di Satrianum, antico centro lucano, di origine dell'età del ferro, importante roccaforte longobarda e sede vescovile;
    • Chiesa della Madonna Assunta (XII-XIII secolo), è la chiesa più antica del borgo;
    • Chiesa Matrice di San Pietro Apostolo, ricostruita completamente intorno al 1950,dell'antico edificio conserva il campanile, alto 37 metri, ed eseguito forse su disegno del Vescovo della Diocesi di Satrianum e Campagna Juan Caramuel y Lobkowitz;
    • Chiesa della Madonna della Rocca;
    • Chiesa di Santa Maria di Costantinopoli;
    • Chiesa di San Giovanni Battista, al suo interno sono conservati affreschi realizzati nel 1626 da Giovanni De Gregorio;
    • Santuario Madonna delle Grazie;
    • Chiesa di San Donato;
    • Palazzo Loreti (XVI secolo), attuale sede del municipio, del museo archeologico e del museo della civiltà contadina;
    • Palazzo Pignatelli (1542);
    • Palazzo Abbamonte (XVII secolo).


    Musei
    • Museo Archeologico Etnografico

    Murales
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    Particolare di Murales
    nel centro storico
    Satriano di Lucania è particolarmente noto per il suo vasto patrimonio artistico legato ai cosiddetti "Murales" che rappresentano l'effigie vera e propria del paese. Nati lo scorso secolo, condizionati dall'eredità culturale lasciata dal De Gregorio sono stati poi promossi e riqualificati dall'amministrazione comunale perché estesi sui muri e le case di tutto il centro abitato. Questi veri e propri affreschi, vengono dipinti a mano da pittori professionisti dell'associazione "Arte per la Valle", composta da artisti quali Luciano La Torre, presidente dell'associazione, Sabato Rea, Francesco Costanzo, Gian Carlo Costantini e molti altri.

    Personalità legate a Satriano di Lucania
    • Giovanni De Gregorio, detto il Pietrafesa 1579/80-1656, pittore seicentesco nato a Pietrafesa.
    • Juan Caramuel y Lobkowitz 1606-1682, vescovo di Campagna e Satrianum.
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    Sant'Arcangelo

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    - Info -

    Sant'Arcangelo è un comune di 6.561 abitanti della provincia di Potenza.

    Geografia

    Il paese sorge in collina, a 388 metri sul livello del mare, lungo la valle del fiume Agri. Il territorio del comune ha un'estensione di 188,47 km2. Dista 89 km da Potenza e 78 km da Matera.

    Storia

    Nell'agro di Sant'Arcangelo si trovano insediamenti risalenti all'VIII secolo a.C., periodo in cui tutta a.C. e gli inizi del IV, la valle dell'Agri viene occupata dai Lucani, un popolo guerriero di stirpe oscosabellica che conquistarono ed assorbirono gli Enotri, a questo periodo infatti risale il sito della comunità di San Brancato dove negli anni ottanta è stata scoperta un'importante necropoli, con circa duecentoventi sepolture.
    Successivamente è stato rinvenuto un borgo abitato databile al IV-III secolo a.C. tra la fontana sita in contrada Gavazzo a quella sita in contrada Cannone e da questa a quella sita in contrada Mulino. Nel III secolo, con la conquista romana e la II guerra punica, i Lucani entrano nel sistema istituzionale di Roma come “soci”, mentre nel I secolo e con le guerre sociali conquistano la cittadinanza romana “optime iure”. La decadenza del centro di San Brancato coincide con la fondazione delle colonie latine, mentre il punto di riferimento diventa la colonia romana della vicina Grumentum. Nel VII secolo vi fu l'emigrazione dei monaci bizantini, chiamati Basiliani, che lasciavano la Siria, la Libia e l'Egitto devastati dalle prime invasioni arabe. La conquista dell'Italia da parte dei Bizantini fu compiuta da Belisario e Narsete, però il dominio greco venne subito ostacolato dai Longobardi che, scesi dal settentrione, avevano occupato vasti territori. La simultaneità longobarda e bizantina porta con sé anche un problema toponomastico in quanto il nome San Brancato secondo alcuni deriverebbe da San Barbato vescovo longobardo, secondo altri da San Pancrazio, questa seconda ipotesi pone il problema di rivedere in modo più critico l'origine stessa del nome Sant'Arcangelo. I Longobardi giunsero in Italia dalla Pannonia, l'attuale Ungheria, guidati dal loro re Alboino, e sconfitti i Bizantini, costituirono il Ducato di Benevento, autonomo rispetto al Regno Longobardo e, in questa epoca, fondarono Sant'Arcangelo (seconda metà del VII secolo), chiamandolo così per devozione all'arcangelo Michele, loro patrono. Sant'Arcangelo è attestato in Catalogus Baronum (aa. 1150-1168) <et in Sancto Archangelo> n° 72, il toponimo si riferisce al culto di S. Michele, patrono del paese (TCI Ann.). L'arma ed il nome non han bisogno di spiegazione: nulla meno giova ricordare che l'arcangelo san Michele era il protettore dei Longobardi, epperò a quell'epoca agevolmente possa risalir l'origine. Il Lacava afferma poi, ed il Racioppi nega, che sia una delle 12 città ripartite tra 12 Conti Normanni nelle prime conquiste: ad ogni modo è certo che a quel tempo era terra di non poca importanza. Appare infatti dal Catalogo dei Baroni recensiti per il servizio militare sotto Guglielmo il Buono, qual feudo di 10 militi, dei quali 6 spettanti al dominio diretto, ch'era il conte Berteraimo di Andria (che aveva pure Policoro, Colobraro ecc. in Basilicata) e 4 ad altrettanti suffeudatarii, che con l'aumento ne presentarono più del doppio, oltre un gran numero di serventi secondo il costume.Emerge in seguito dalla carte Angioine, e propriamente agli ultimi anni di Carlo II, un atto di prepotenza di un certo feudatario di Sant'Arcangelo, di cui si tace il nome, che, pretendendo di suo diritto la chiesa e badia di Santa Maria d'Orsoleo, mandò di forza a scassinarne le porte ed asportarne il meglio che v'era; onde avutosene ricorso dal Vescono d'Anglona, questi conseguì ordine reale il 12 novembre 1305, perché il Giustiziere di Basilicata avesse cura far restituire la chiesa e gli altri bene ingiustamente occupati. All'epoca durazzesca era di Nicolò Lamarra, da cui passava nel 1390 a Beatrice di Ponziaco, e poi a Carlo Artus, ai Visconti Giocoli ed a seguire a Pietro Barrile, la cui Casa il 27 agosto 1826 ne otteneva il titolo di principe; ma estinta questa negli Spinelli perveniva qual semplice feudo alla famiglia Colonna dei Principi di Stigliano. Per quel riguarda il titolo di Principe per contrario trovasi passato fin dal 1853 nei Ricciardi, duchi di Caivano, marchesi di Fuscaldo e conti dei Camadoli. Fu poi Sede di Mandamento con 4.703 abitanti del Circondario di Lagonegro e diocesi d'Anglona e Tursi: ha chiesa parrocchiale sotto il titolo di san Nicola di Bari, e la cura d'un arciprete con altre 4 cappelle e 5 confraternite, poi opere pie riunite per la beneficenza ed istituto di prestanza. Aveva anche un convento di riformati con 4 padri e 3 laici, oltre i minori osservanti in numero di 12 padri e 12 laici, allocati nel Monastero d'Orsoleo.


    Monumenti, chiese e luoghi d'interesse
    • Complesso monastico di Santa Maria di Orsoleo
    • Palazzo della Cavallerizza
    • Chiesa Madre di San Nicola di Bari
    • Chiesa dei Padri Riformati o di San Rocco
    • Chiesa di Santa Maria degli Angeli o Mauro
    • Chiesa di Sant'Anna
    • Cappella della Provvidenza
    • Palazzo Guarini
    • Palazzo De Ruggiero
    • Torre Giocoli
    • Palazzo Scardaccione
    • Palazzo Carafa-Di Gese
    • Palazzo Sansanelli
    • Torre Molfese
    • Fontana di Mederico
    • Fontana di Parlante
    • Fontana del Cannone


    La Città della Pace per i bambini

    Nel 2009 è stata costituita su iniziativa del Premio Nobel per la Pace Betty Williams la Fondazione Città della Pace per i bambini, che prevede strutture che possano ospitare i bambini che vivono in situazioni di pericolo nei loro paesi, da realizzarsi a Sant'Arcangelo ed a Scanzano Jonico. La Città della Pace ha l'obiettivo di garantire assistenza, istruzione ed educazione a minori in condizioni di disagio sociale o pericolo derivanti da guerre o disastri ambientali.



    Manifestazioni ed eventi
    • 8 maggio - Festa Patronale San Michele Arcangelo
    • 6 giugno (prima domenica di giugno) - Fiera in occasione della ricorrenza di San Fortunato Martire le cui ossa riposano nella Chiesa dei Padri Riformati (Chiesa del Convento)
    • 16 agosto - Festa in onore di San Rocco
    • 7/8 settembre - Festa di Santa Maria di Orsoleo
    • agosto - Agglutination Festival


    Fiere e Mercati
    Fiere: 12 agosto - 7 settembre

    Personalità legate a Sant'Arcangelo
    • Domenico Cavallo, 1ºflauto e Vice Direttore della Banda dell'Esercito
    • Michele Lufrano, direttore di banda e compositore
    • Orazio Fortunato, nato il 18/01/1634 dal dottor Francesco e dalla nobile Anna De Barberis, Vicario del cardinale Paluzzo Paluzzi Altieri degli Albertoni a Montefiascone, vescovo di San Severo dal 06/10/1670 al 10/01/1677 e Nardò dal 1678 al 1707
    • Carlo Francesco Giocoli, nato il 04/11/1665 dal dottor Mario e dalla nobile Anna Fortunato, sorella del vescovo Orazio. Vicario a Gallipoli del vescovo Antonio Perez de Lastra, vescovo di San Severo dal 22/07/1703 al 11/03/1717 e di Capaccio dal 1717
    • Matteo Guarini, avvocato e presidente di Sezione della Corte dei Conti
    • Giuseppe Guarini, medico professore università La Sapienza di Roma
    • Giuseppe Michini, medico (1780)
    • Francesco Scardaccione, magistrato, politico e Presidente della Provincia di Basilicata (1861)
    • Nicola Sansanelli, avvocato, politico e onorevole Segretario Nazionale del Partito Fascista (1923) e sindaco di Napoli, per breve periodo, negli anni cinquanta
    • Francesco Cerabona, avvocato, politico e onorevole, Ministro delle Comunicazioni (1943)
    • Carlo Mastrosimone, professore universitario e senatore (1953)
    • Decio Scardaccione, professore universitario e politico, senatore e Sottosegretario agli Interni (1968)
    • Cardinale Michele Giordano, Arcivescovo Metropolita emerito di Napoli
    • Vito De Filippo, politico Presidente della Regione Basilicata
    • Francesco D'Arelli, professore Università di Venezia e Library and Publishing Director dell'Istituto Italiano per l'Africa e l'Oriente (IsIAO), Roma
    • Biagio Roberto Cimini, magistrato esperto in diritto comunitario
    • Giuseppe Brancale, scrittore (1925-1979)
    • Andrea Esposito, (1950) ex calciatore.
372 replies since 10/6/2010
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