Storia della cucina

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  1. lory82
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    Storia della cucina


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    La primitiva forma di cucina fu la semplice cottura del cibo, praticata fin dai tempi dell'uomo di Neandertal, già mezzo milione di anni fa: essa poteva rendere commestibili numerosi alimenti altrimenti indigeribili accrescendone il valore nutritivo (anche se di questo, quasi certamente, l'uomo neandertaliano non era consapevole).

    Dapprima, quindi, si arrostì la carne sulla fiamma viva, poi sulla brace (che garantiva una cottura più uniforme e una minore perdita di peso degli alimenti), infine si scoprì la cottura in buche, dove la carne e le radici, avvolte in foglie, subivano una specie di cottura a vapore.

    I cibi lessati in pietre concave, grosse conchiglie e stomachi di animali sono molto più recenti; i recipienti di ceramica furono introdotti non prima del VI millennio a.C.. Le polente di cereali tostati e macinati grossolanamente, il pane non lievitato e i primi stufati di cereali e carne risalgono al Neolitico inferiore.

    Nel corso di questa età si scoprì anche il fenomeno della fermentazione, che permetterà sia la produzione di pane lievitato (originario dell'Egitto) che quella delle bevande alcoliche (la birra, originaria della Mesopotamia, il vino e l'idromele).

    Quadro generale [modifica]
    Se gli archivi sumerici e babilonesi consentono di farci un quadro di massima dell'alimentazione delle popolazioni mesopotamiche, non molto sappiamo, invece, dei loro gusti e delle loro tecniche di cucina. È nota la loro avversione per la carne suina (condivisa dagli Egizi) e la loro predilezione per la carne ovina: l'una e l'altra saranno ereditate dagli Ebrei e dagli Arabi. Una varietà di pecora di cui, a detta di Erodoto, andavano particolarmente ghiotte era quella «dalla coda grassa», un'appendice, pregiatissima, che poteva toccare i cinque chilogrammi di peso.

    La lievitazione del pane fu scoperta in Egitto. Anche se si continuò a lungo a far uso di pane azimo, le caste superiori potevano scegliere fra un quarantina di tipi di pane lievitato e di dolci a base di uova, latte e miele. Erodoto ci informa che le medesime caste prediligevano i volatili (anatre, piccioni, quaglie, coturnici, gazze).

    Gli uccelli più piccoli, oltre che stufati, si gustavano crudi in salamoia. I canali e le paludi del Nilo erano ricchi di anguille, carpe, muggini e pesci persici, che si consumavano anche salati ed essiccati.

    La cucina greca è sufficientemente documentata. Le carni preferite erano quelle del maiale, della lepre e degli uccelli. La selvaggina da pelo veniva prima lessata, poi arrostita allo spiedo e infine accompagnata da salse «dolci e grasse». Erano molto apprezzati anche le frattaglie e i sanguinacci (ne era attribuita la creazione al cuoco Aftonita).

    Si faceva largo consumo di pesce: fritto, arrostito sulla brace, cotto al forno e in zuppa; Archestrato di Gela (IV secolo a.C.) ha tramandato succinte ricette di piatti di pesce: triglie condite con olio, formaggio e cumino, saraghi all'aceto e cacio, anguille cotte in foglia di bietola. La considerazione in cui era tenuta in Grecia l'arte della cucina è testimoniata dai numerosi nomi di cuochi che ci sono giunti: Egi di Rodi per le fritture di pesce, Nereo di Chio per le minestre, Eutimio per le lenticchie, Lampria per il suo celebrato ragù nero, eccetera.


    Edizione di 1541.In contrasto con la frugale e rudimentale cucina dell'età repubblicana, la cucina romana dell'età imperiale mostrò una singolare e quasi morbosa attrazione per il raro, l'esotico e lo stravagante: l'imperatore Vitellio (narra Svetonio) arrivò a spendere 25.000 scudi per un piatto a base di fegati di scaro, lattigini di murena, cervella di fagiano e di pavone e lingue di fenicottero.

    Quand'anche si trascurino tali eccessi, su cui pure le testimonianze abbondano, l'impressione che si trae dal De re coquinaria, la raccolta di ricette attribuita ad Apicio, e dalle altre fonti storiche e letterarie, è quella di una cucina votata all'esuberanza e all'artificio. Manzo e agnello, maiale e cinghiale, cervo e lepre, tonno e sgombro, uova e lenticchie sono trattati tutti allo stesso modo: sommersi di miele, mosto, vino speziato e aceto; imbottiti di esuberanti miscele di spezie ed erbe odorose; sopraffatti, infine, dal garum (o liquamen), l'onnipresente e violenta salsa di pesce fermentato.

    L'arte del cuoco sta proprio nel contraffare e nel travestire gli alimenti: nel «cavare un pesce da una vulva, un piccione da un pezzo di lardo, una tortora da un prosciutto e una gallina da un culatello» come scrive Petronio Arbitro nel Satyricon.

    Tra la cucina medievale e quella romana, grazie anche alla mediazione di Bisanzio, erede gastronomica di Roma, le affinità appaiono più forti delle differenze. Queste ultime dipesero soprattutto da un impoverimento delle tecniche di cottura: la cottura al forno e quella a fuoco moderato furono abbandonate; sopravvisse la cottura sulla fiamma viva: allo spiedo o in marmitta.

    La dieta e la cucina delle élites, sia a nord che a sud delle Alpi, furono prevalentemente ed elettivamente carnee. Non si abbandonò l'uso di lessare le carni prima di arrostirle e di subissare i cibi di spezie orientali, erbe odorose, miele, garum (importato verosimilmente da Bisanzio) e altre salse.

    Alla fine del XIII secolo la cucina raggiunse il livello tecnico dell'età romana, riscoprendo la cottura al forno (in genere quello da pane) e gli umidi. Gli anonimi ricettari trecenteschi italiani e quelli francesi coevi (primo fra tutti il Viandier di Taillevent) documentano una cucina che, pur non rinunciando al primato delle carni, alle cotture multiple, al gusto dolce-salato e dolce-forte e alle miscele di erbe e spezie, valorizzò le verdure, accolse preparazioni di probabile origine popolare (minestre, torte senza sfoglia, frittelle, eccetera), fece uso di salse non ingombranti e, più in generale, optò per una relativa linearità e sobrietà.

    Gli ambienti umanistici sposeranno questa tendenza e la sosterranno con motivazioni dietetiche, mediche ed etiche (si vedano il Libro de arte coquinaria di Maestro Martino da Como e, soprattutto, il fortunatissimo De honesta voluptate del suo dotto allievo Bartolomeo Platina).

    In età rinascimentale si tornò a una cucina radicalmente artificiosa e dissimulatoria, consacrata all'occultamento programmatico dei sapori naturali. Assoggettati (se carni) a frollature interminabili e a cotture ripetute, intrisi di agresto e acqua di rose, rimpinzati di spezie, zuccherati senza risparmio, ricoperti di salse complicate e invadenti, sottoposti, infine, a complicate operazioni di chirurgia plastica (le «montature»), tutti i cibi finirono per assomigliarsi; tutti furono ricondotti a viva forza a un modello unico: a una sorta di idea platonica.

    Avviata nella Francia dell'epoca dei Lumi nei primi decenni del Settecento e fiancheggiata da un vivace dibattito scientifico e filosofico, la riforma della cucina produsse, nel giro di un cinquantennio scarso, l'estinzione della civiltà gastronomica dell'antico regime e la nascita della cuisine moderne (o nouvelle cuisine, o cucina borghese). Ciò che si verificò fu un mutamento radicale non tanto della dieta e delle tecniche di cottura, quanto più propriamente del gusto: la cucina delle carni, delle spezie, dei sapori forti, ibridi e artificiosi fu spazzata via da una cucina che scoprì gli alimenti freschi;"...la zuppa di cavolo deve sapere di cavolo, quella di cipolla deve sapere di cipolla..." le verdure, le erbe aromatiche, i confini netti dei sapori, le salse delicate.

    Cambiò, conseguentemente, anche la struttura del pranzo: il «servizio alla francese», erede dei servizi rinascimentali, che prevedeva la presentazione di tutti piatti contemporaneamente, fu soppiantato dal «servizio alla russa», in cui i piatti vengono portati uno dopo l'altro, secondo un preciso ordine gerarchico.

    Il Novecento [modifica]
    Sia per i grandi mutamenti storici che per il notevole sviluppo tecnologico, il Novecento ha trasformato profondamente la società. La nascita dell’automobile consentì a persone e merci di viaggiare e spostarsi più rapidamente. Nel 1900 esce la prima "Guida Michelin", una pubblicazione nata in Francia, destinata ai primi automobilisti gastronomi allo scopo di illustrare le caratteristiche dei ristoranti di qualità presenti sul territorio. Più limitato rispetto alla Francia anche in Italia venne a svilupparsi un certo fenomeno gastronomico testimoniato dalle diverse pubblicazioni di quel periodo. Nel 1909 si pubblicò la nuova cucina delle specialità regionali dove per la prima volta si scrissero le ricette delle regioni italiane.

    La cucina contemporanea [modifica]
    Dopo la guerra la cucina europea era distrutta: poco cibo disponibile, per di più razionato, non consentiva di fare grandi cose tra i fornelli e la ripresa gastronomica dovette aspettare gli anni sessanta per riscoprire un forte dinamismo. Il boom economico che avvenne in seguito portò in ogni casa il frigorifero, il forno, e gli elettrodomestici. Successivamente l’entrata della donna nel mondo del lavoro ha innescato un cambiamento nel modo di mangiare. Il tempo sempre più limitato per cucinare fa sostituire i piatti di lunga preparazione tipo polenta, legumi, frattaglie, con fettine di bovino e petti di pollo da cucinare velocemente ai ferri. Dal canto suo anche l'editoria culinaria ha seguito questo fenomeno proponendo ricettari facili e semplici e per la prima volta anche con un occhio sempre più attento all'aspetto calorico e dietetico, ne è l'esempio "il Cucchiaio d'Argento". Dall'inizio degli anni settanta gli aspetti gastronomici che si sono sviluppati e ampliati sono i seguenti:

    La ripresa delle tradizioni regionali rilanciando l'artigianato alimentare locale questo contemporaneamente allo sviluppo del turismo.
    L'utilizzo di modelli di cucina rapida, attenta alla dietetica, utilizzando sistemi di cottura come il vapore o apparecchiature di nuova concezione il forno a microonde e la cottura sottovuoto.
    La nouvelle cuisine.
    Ultimamente ha fatto la sua comparsa la "gastronomia molecolare", un modo di approcciare la cucina dal punto


    Edited by andreajuan2 - 23/2/2011, 18:34
     
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    LA STORIA DELLA CUCINA DI CASERTA E DELLE SUE PROVINCE


    La città di Caserta è situata nella pianura campana a sessantotto metri sul livello del mare, ai piedi del monte Tifata. È il centro più importante della zona chiamata Terra di lavoro ed è circondata da una delle più fertili regioni. La sua provincia è bagnata dal mare Tirreno tra il lago di Patria a sud e la foce del Garigliano a nord. L'economia è in prevalenza agricola; produce infatti grano, mais, lupini, patate; è molto praticato l'allevamento dei bufali e bovini che trova condizioni favorevoli nei Mazzoni di Capua e nel basso Volturno. Da questi fiorenti allevamenti deriva la possibilità di preparare formaggi di latte bovino fra i quali primeggiano le mozzarelle che sono sempre di bufala, anche se impropriamente il termine è usato per indicare il fior di latte e cioè quella sorta di mozzarella fatta con il latte di mucca. Si tratta di un formaggio a pasta filante ottenuto da latte intero, confezionato immerso in panna o in liquido di governo per garantire una maggiore freschezza. Le mozzarelle di Caserta sono fra le più apprezzate e famose di tutto il meridione. Oltre ai latticini, base di questa cucina sono i legumi d'ogni specie, da mangiare da soli appena estratti dal "pignatiello" o con la pasta a completamento di una nutriente minestra. I broccoli, passati in padella con congrua scorta di aglio e peperoncino, diventano i mitici «friarelli». Le melanzane arricchite di mozzarella, formaggio grattugiato e sugo si presentano con la dignità della «parmigiana»; i peperoni arrivano quando possibile a tavola arricchiti da un ripieno di pan grattato, alici, capperi e ingredienti analoghi. Sempre nell'ambito degli ortaggi ricordiamo i «cardoni in brodo»; gli ingredienti sono: due grossi fasci di cardoni (gobbi), un litro e tre quarti di brodo di carne o pollo, due tuorli d'uovo, quattro cucchiai di parmigiano, due uova intere, sale e pepe e la preparazione, secondo un'antica ricetta, suggerisce di tagliare i cardoni in pezzi lunghi dieci centimetri, sfilacciandoli accuratamente. Poi, per non farli annerire, si mettono subito in acqua e limone. Si lessano in acqua salata a bollore per dieci minuti. Si fa bollire il brodo, vi si uniscono i cardoni ben scolati e si fa cuocere dolcemente il tutto per altri dieci minuti. Si battono le uova intere più i due tuorli con il parmigiano, sale e pepe e, al momento di andare in tavola, si aggiungono ai cardoni e al brodo mescolando rapidamente per farle leggermente rapprendere. A tavola si aggiunge altro parmigiano. Cucina povera che rispecchia la composizione sociale della gente di questa terra, mai entrata nel passato in contatto con l'opulenza della corte reale che pure a Caserta ha avuto la sua Reggia. La carne compare raramente sulle tavole, viene molto lavorata e insaporita con gli ortaggi e con l'origano, l'aglio, il peperoncino e i pomodori; cotta a lungo perché venduta fresca, appena macellata. Il pesce è riservato alle grandi occasioni, cucinato spesso anch'esso con le verdure e cotto al forno. Anche i primi piatti vengono spesso conditi con le verdure, ma non mancano i condimenti a base di acciughe che si accompagnano sempre con aglio, prezzemolo e peperoncino o pepe. Fra i dessert, oltre ai gelati e alle «cassate» veramente squisite, oltre ai dolci di importazione, ricordiamo la famosa mela annurca di cui il Casertano è ricchissimo, una mela di polpa bianca, compatta e croccante, di sapore dolce acidulo, aromatica e profumata.


     
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  3. xxelexxx
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    MA che cosa interessanteeeeee :D
     
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  4. Pis7681
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    Grazie!
     
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    Molto interessanti queste notizie, grazie!
     
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  6. flavia64
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    grazieeee
     
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  7. giuliana1971
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    grazie mille sono davvero interessanti!
     
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